lunedì 2 aprile 2018

Nei giorni della "resurrezione", il mondo del lavoro continua a contare i propri morti

La mattina di Pasqua gli abitanti di via Calvenzano a Treviglio, dove sorge l’azienda “Ecb”, hanno prima avvertito uno strano odore nell’aria e subito dopo un forte boato seguito da una nuvola di fumo bianco e nero che fuoriusciva dall’azienda. Un’esplosione di un serbatoio per essiccare farine alimentari per pet, dove vengono lavorati gli scarti della macellazione avicola, ha ucciso due operai: Giambattista Gatti, residente a Treviglio, padre di due figli, e Giuseppe Legnani, di Casirate d’Adda, anch’egli con due figli. Un destino beffardo quello dei due lavoratori deceduti, visto che essi non avrebbero dovuto essere al lavoro, per via delle festività pasquali.
I corpi dei due operai sono stati recuperati dai vigili del fuoco e trasferiti all’Istituto di Medicina legale di Bergamo per gli adempimenti disposti dalla Procura. I pompieri hanno lavorato a lungo prima di avere ragione del fumo e delle alte temperature nell’impianto. Hanno fatto ricorso anche ad auto protettori per la respirazione, visto che gli ambienti erano saturi di anidride carbonica. Per quanto concerne il pericolo di allarme ambientale, i fumi che escono dalla cisterna «non dovrebbero essere nocivi», assicura il sindaco di Treviglio. In un comunicato la Cgil denuncia la «preoccupante inversione di tendenza sul versante della sicurezza nei luoghi di lavoro». Il sindacato chiede quindi «che venga al più presto fatta chiarezza sui motivi dell'incidente e che eventuali responsabilità e negligenze siano colpite con il massimo rigore»


Lorenzo Mazzoni, 25 anni, e Nunzio Viola, 52 anni, due lavoratori della “Labromare”, sono morti mercoledì 28 marzo nell'esplosione di un serbatoio di acetato di etile nei Depositi Costieri Neri al porto di Livorno.
In quest’ultima città si assiste, in tema di infortuni sul lavoro, ad una netta e tragica controtendenza rispetto al resto della Toscana: 6 furono i morti nel 2013, ben 11 nel 2016. In calo invece nel resto della regione.
Sorge naturale un accostamento tra la crisi economica vissuta nella provincia labronica e gli infortuni in aumento. Dove la crisi picchia duro, probabilmente c’è un’inevitabile ricerca del profitto da parte dei datori di lavoro e una paura della perdita del posto da parte dei lavoratori stessi. Costretti quindi a obbedire a straordinari, turni massacranti, contratti e livelli con mansioni diverse rispetto a quelle praticate e molto altro.
Per quanto riguarda lo specifico caso del Porto di Livorno gli incidenti mortali sono innumerevoli negli ultimi anni: Dasonor Qallia morto il 15 giugno 2010, Priscillano Inoc investito il 17 marzo di tre anni fa e Gabriele Petrone morto sulla nave “Urania” in bacino soltanto 5 mesi più tardi. Molte furono le promesse di un aumento della sicurezza, rimaste vane. Le leggi sulla sicurezza del lavoro in un periodo di crisi devono essere ancora più severe, mentre in questi anni i vari governi le hanno allentate, oltretutto “lasciando morire” il sistema di controllo.
La questione della sicurezza deve uscire dalla ritualità! La “cultura della sicurezza” è un approccio che scarica sottilmente anche sui lavoratori le responsabilità. Se un “errore umano” rischia di costare la vita a se stesso e/o ad altre persone, vuol dire che va rivisto in toto il “sistema sicurezza” di quell’azienda o di quel luogo di lavoro.

Dall’inizio dell’anno nel nostro paese i morti sul lavoro secondo l’Osservatorio Indipendente di Bologna sono 146. Per l’INAIL i morti sul lavoro nel 2017 sono stati 1029, numero che contiene i lavoratori morti sulle strade e in itinere, ma non gli agricoltori schiacciati dal trattore. Solo negli ultimi tre giorni, oltre alle tragedie di Livorno e Bologna, i morti sul lavoro sono stati 11. Una strage, un bollettino a cui vanno aggiunti anche gravi incidenti sul lavoro. I numeri parlano chiaramente: si tratta di una guerra non dichiarata contro i lavoratori, una vera e propria mattanza.  Le indagini verificheranno le responsabilità, che andranno colpite con il massimo rigore. Di sicuro, però, questi sono i risultati drammatici del fatto che in Italia manca ancora un piano nazionale per la sicurezza sul lavoro, un paese, il nostro, in cui si riscontrano ancora limiti inqualificabili, ritardi insopportabili e gravi inadempienze legislative. Non solo. L’aumento della precarietà, la paura di perdere il posto di lavoro, ritmi sempre più veloci e flessibili sono elementi che hanno reso il lavoro sempre meno sicuro e consegnato i lavoratori al ricatto. E’ giusto che la manifestazione nazionale del Primo Maggio sia dedicata al tema della sicurezza, ma non basta. Occorre una straordinaria mobilitazione nazionale affinché il nuovo Parlamento assuma il tema della sicurezza sul lavoro come centrale e prioritario.

Nessun commento: