domenica 16 gennaio 2011

TUTT'ALTRO CHE UNA SCONFITTA

Alla Fiat di Torino ha vinto il SI'.

Ma la notte più lunga di Mirafiori è stata un vero e proprio testa a testa.

Come in una lunga, estenuante partita di poker, i seggi sono stati 'spillati' uno ad uno.

A decidere, a mettere a segno l'allungo decisivo per il SI', è stato il seggio 5, quello dei 449 impiegati.

Al voto, iniziato col turno delle 22.00 di giovedì, hanno partecipato 5.119 lavoratori, oltre il 94,2% degli aventi diritto.

Il SI' ha vinto con 2.735 voti, pari al 54,05%. A votare NO sono stati invece in 2.325 (45,95%), 410 voti di scarto, mentre le schede nulle e bianche sono state complessivamente 59.

Questi i numeri ufficiali della commissione elettorale, dopo una nottata in cui le cifre diffuse hanno continuato a cambiare.

Un'affluenza record che la dice lunga su quanto il referendum fosse sentito dal "popolo" di Mirafiori.

Il cancello due, simbolo di questa 2 giorni di passione per lo stabilimento storico della Fiat, è stato affollato tutta la notte da operai, militanti sindacali degli opposti schieramenti, ex dipendenti, giornalisti, fotografi e troupe televisive.

Il fronte del NO ha retto per i primi 4 seggi: il 9, primo del montaggio; l'8, quello dove si è verificato il piccolo "giallo" della scomparsa di 58 schede che ha costretto la commissione elettorale e congelare prima e ricalcolare poi il voto; il 7 e il 6, sempre del montaggio.

Poi è avvenuto il sorpasso del SI', con un plebiscito dei colletti bianchi a favore del piano: 421 voti a favore e solo 20 contrari. Chissà come avrebbero votato se anche loro fossero sottoposti ai 3 turni su sette giorni, alla riduzione delle pause (magari mettendo il cartellino alle macchinette del caffè) ed a tutti i peggioramenti delle condizioni di lavoro previste dall'accordo.

Se, rispettivamente, ai 2735 voti favorevoli ed ai 2325 sfavorevoli togliamo i 421 ed i 20 degli impiegati, scopriamo che tra gli operai i SI' erano 2314 contro i 2305 dei NO.

Il distacco è stato di soli 9 voti.

Per poter dare una valutazione seria di questo risultato occore ricordare che il fronte dei sindacati pro-accordo (Fim Cisl, Uilm, Ugl, Fismic) aveva prima di ieri il 71% dei voti nelle Rsu, mentre il “fronte del NO” (Fiom, in primo luogo, più Cobas e Usb) soltanto il 29.

Si è quindi verificato un “quasi” perfetto rovesciamento degli equilibri interni a questa fabbrica, da molti anni dipinta come “rassegnata” e ormai estranea al conflitto sociale.


Dobbiamo ricordare le centinaia di persone, uomini e donne spesso in lacrime, che spiegavano alle telecamere del circo mediatico montato fuori la fabbrica per testimoniare ai posteri il momento della svolta epocale del cambiamento nelle relazioni industriali, che avrebbero detto SI' solo perché messi di fronte a un ricatto in piena regola, un autentico “o la borsa o la vita”.

Dobbiamo quindi sapere tutti – Marchionne, i “sindacati complici”, la parte "inguardabile" della classe politica di questo paese – che persino in questo microcosmo di 5.400 persone, messe con le spalle al muro, non trova autentico “consenso” uno imbarbarimento delle vite e un annullamento dei diritti che vuol riportare il lavoro nelle condizioni degli inizi dell'800.

All’indomani del referendun di Mirafiori, ci confrontiamo con una percentuale di NO molto più alta del previsto, proiettati oltre il 45 per cento, un risultato superiore a quello di Pomigliano dell’estate scorsa, che pure sembrava un exploit irripetibile.

I pronostici dei giorni scorsi davano il SI' proiettato verso il 70 per cento, per qualcuno l’80 addirittura. Ed è questa la ragione che ha spinto molti esponenti anche del PD (da D’Alema a Veltroni, fino a Rienzi, Chiamparino e Fassino) a schierarsi per il sì, con il tono di chi è in sintonia con la volontà popolare prevalente.

Le stesse previsioni sembrano aver incoraggiato i distinguo di Susanna Camusso, che ha schierato la sua Cgil su una linea più prudente rispetto quella della Fiom di Landini.

L’isolato segretario dei metalmeccanici, che da solo ha sfidato Marchionne, da residuo del passato si trasforma in unico dirigente in sintonia con il popolo. La rumorosa minoranza Fiom si è trasformata di colpo, a mezzanotte, in una quasi maggioranza.


Ma allora che cosa è successo?

In attesa di vedere bene le conseguenze del voto di questa notte, la prima constatazione è che la classe dirigente di questo Paese, tutta insieme: locale e nazionale, politica e sindacale, di destra e di centro-sinistra, di governo e opposizione (con rarissime eccezioni come quella di Vendola e la sua SEL), e naturalmente con Sergio Marchionne per l’occasione alla sua testa, non ha capito niente di che cosa hanno in testa gli italiani.

Per i NO è tutt’altro che una sconfitta. La Fiom passa dal 22 per cento dei consensi al 46.

Da una parte persiste un blocco filo-padronale imperioso: Confindustria, Berlusconi, Terzo polo, molti esponenti di primo piano del Pd, Cisl e Uil che, magari con spiegazioni e sfumature diverse, si erano tutti schierati per il sì.

Dall’altra la Fiom, con il sostegno dei Cobas, a battersi per la difesa dei diritti sanciti dalla Costituzione e che migliora il risultato ottenuto a Pomigliano.

Questo è il punto.

Dalle resistenze delle tute blu, come dagli studenti o dai movimenti per la difesa dei “beni comuni”, si è messo in moto un percorso di costruzione di alternativa nella società da cui può partire una nuova stagione di lotta. La sinistra, quella vera, deve ripartire da qui.

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