In un pozzo a Folzano trovate concentrazioni di 184 microgrammi/litro
La brutta notizia è che la presenza del cancerogeno metallo è più che raddoppiata nei pozzi a sud della città, a Folzano. Pozzi che non alimentano più l’acquedotto, certo. Ma che danno l’idea del pessimo stato di salute della falda cittadina. Il problema è che il cromo fuoriuscito anni fa dalle galvaniche (due in particolare, secondo Arpa e Provincia ) nella zona sudovest della città, prosegue la sua discesa verso la Bassa. A complicare una situazione già critica hanno contribuito le abbondanti piogge dell’ultimo anno, che hanno fatto alzare la falda (in costante risalita negli ultimi 7 anni), con l’acqua sotterranea che è andata a «toccare» la terra intrisa di veleni. Il rischio concreto è che quell’acqua inquinata possa essere utilizzata anche a fini irrigui, entrando indirettamente nella filiera alimentare.
Le due facce della questione verranno approfondite domattina nel convegno «Laboratorio Brescia, il cromo VI nelle acque potabili», organizzato dall’Asl e dall’Istituto superiore di Sanità nella sede dell’Aib. Proprio da Brescia, costretta a curare (in ritardo) le ferite ambientali causate da decenni di industrializzazione e mancate bonifiche (caso Caffaro docet), con le scorie della Valtrompia (che non ha un depuratore) finite nel Mella, dovrebbe partire l’iter per rivedere la legge sulle concentrazioni massime di cromo esavalente nell’acqua potabile.
Sono anni che a Brescia si beveva acqua con più di 10 microgrammi di cromo. Solo nel 2013 si però assistito ad una presa di coscienza collettiva delle criticità. Molti cittadini hanno iniziato a fare analisi private sull’acqua dei rubinetti, contestando i dati istituzionali. La città si è divisa e ha discusso sugli effetti del metallo cancerogeno. Con l’Asl che cercava di tranquillizzare la popolazione, ricordando il rispettato dei limiti del decreto legislativo 31/2001, che fissa in 50 microgrammi il limite massimo per il cromo totale. Il problema - sollevato da comitati ambientalisti e dai genitori - è che quella legge è in contrasto con il decreto il 152 del 2006, che fissa in 5 microgrammi il limite massimo di cromo VI per la falda. A marzo l’Efsa (Ente europeo per la sicurezza alimentare) ha indicato la soglia di 2 microgrammi/litro come quello più cautelativo per escludere potenziali effetti cancerogeni sui bambini. Questo è il limite che intende rispettare A2A, che spenderà nel biennio 4 milioni di euro per trattare con solfato ferroso (e trasformare il cromo VI in cromo III) 25 miliardi di litri l’anno. A settembre sono partiti i trattamenti negli 8 pozzi più inquinati (dei 40 presenti in città) ma già oggi si vedono gli effetti importanti. Anche le analisi private sono finalmente in linea con quelle di A2A e Asl (a differenza che lo scorso inverno).
Ma se nei pozzi di città l’acqua viene depurata (e verrà fatto anche in quelli della bassa Valtrompia) resta drammaticamente aperta la questione della falda a sud. Il pozzo di Folzano è passato dai 7 microgrammi di cromo del 2007 ai 184 di oggi. I veleni fuoriusciti dalle galvaniche della zona ovest non sono stati bonificati. La Baratti-Inselvini di via Padova sta bonificando il terreno sottostante l’azienda. Ma ricusa le responsabilità dell’inquinamento scoperto più a sud. E ha pure vinto un ricorso al Tar contro la Provincia che (nel 2010) le ha intimato di ampliare il raggio di bonifica. Per i giudici amministrativi non è chiaro sapere dove finiscono le sue colpe e iniziano quelle di altre aziende. La Loggia ha aperto un contenzioso legale con la ex Forzanini di via Ancona, chiusa da tempo (e che - dati Arpa alla mano - ha inquinato meno della Baratti). Ma la discesa del cromo verso la Bassa è più veloce dei tempi della giustizia. E i veleni potrebbero arrivare fino a Flero, Capriano del Colle, San Zeno Naviglio. Quello che è già accaduto anni fa con i Pcb della Caffaro rischia di ripetersi.

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