martedì 11 novembre 2014
Abroghiamo il pareggio di bilancio in Costituzione
Dall’aprile del 2012 nella Costituzione Italiana è stato inserito il pareggio di bilancio. Questo è avvenuto con la legge costituzionale n.1 del 20 aprile 2012 con la quale sono stati modificati gli articoli 81, 97, 117 e 119 della nostra Costituzione. La norma fu approvata sia alla Camera che al Senato a maggioranza dei due terzi, evitando così il ricorso al referendum. A votarla furono Pd, Pdl, Terzo Polo e Lega Nord.
Molto semplicemente il pareggio di bilancio si verifica quando in un bilancio di un ente economico le uscite e le entrate durante un anno si pareggiano senza far ricorso a deficit o ad indebitamento. Questo vale anche per lo stato e le sue spese ed entrate pubbliche.
Il vincolo del pareggio di bilancio è alla base delle politiche restrittive e di austerità che l’Europa ha imposto negli ultimi anni, ma la scelta di inserirlo addirittura nella Costituzione non era obbligatoria. Da quando l’Europa ha adottato queste politiche, il debito pubblico è passato dal 65 al 95%, la disoccupazione è aumentata del 40%, molti Paesi hanno imboccato la china della deflazione e il Pil – in Italia – è crollato di 11 punti dal 2007 a oggi.
Gli effetti del pareggio di bilancio sono una vera e propria camicia di forza: lo stato, le regioni e i comuni non potranno più indebitarsi e promuovere politiche antirecessive. In questo modo il debito continua comunque a salire e la crisi si avvita su se stessa con conseguenza sull’economia che possono essere veramente nefaste. E a farne le spese i fondi che dovrebbero garantire i diritti sociali: le spese per la salute, l’edilizia residenziale pubblica, la formazione professionale, l’assistenza sociale, la previdenza, l’esistenza dignitosa di lavoratori e lavoratrici, etc.
E se lo Stato non può indirizzare risorse al di là delle sue entrate per realizzare opere di sviluppo si apre la porta ai privati. Ma i privati intervengono solo laddove l’investimento ha un ritorno.
Per queste ragioni Sel insieme ad altre organizzazioni e rappresentanti della società attiva (tra questi Arci, Sbilanciamoci, Legambiente, Fiom, L’altra Europa per Tsipras, Prc, esponenti del Pd come Fassina e Civati ed altri ancora) partecipa alla raccolta firme per una proposta di legge di iniziativa popolare di revisione costituzionale per cancellare l’introduzione del principio di ‘pareggio di bilancio’ nella nostra Costituzione, attraverso la modifica di alcuni articoli fra cui l’art.81.
Nella proposta di legge di iniziativa popolare – che a differenza del referendum non è solo abrogativa ma propositiva – non si propone solo di tornare al testo precedente alla modifica dell’art. 81, ma si vuole introdurre un principio fondamentale che è presente nelle più avanzate e recenti costituzioni, come quelle di alcuni paesi latinoamericani. Al vincolo contabile si sostituisce quello della soddisfazione dei bisogni e dei diritti dei cittadini. E quindi le manovre di bilancio non possono avere come conseguenza il taglio di spese sociali che ledono quei diritti. In questo modo la proposta di legge, pur non potendo influire direttamente sul Fiscal compact, che è un trattato europeo, rafforza gli argomenti per contrastarlo, dal momento che la logica del rientro forzato dal debito nel giro di venti anni comporta necessariamente una diminuzione della spesa sociale, che è proprio quanto la proposta di legge vuole venga vietato costituzionalmente. Il primato delle leggi contabili verrebbe così sostituito dal primato dei diritti.
Molto semplicemente il pareggio di bilancio si verifica quando in un bilancio di un ente economico le uscite e le entrate durante un anno si pareggiano senza far ricorso a deficit o ad indebitamento. Questo vale anche per lo stato e le sue spese ed entrate pubbliche.
Il vincolo del pareggio di bilancio è alla base delle politiche restrittive e di austerità che l’Europa ha imposto negli ultimi anni, ma la scelta di inserirlo addirittura nella Costituzione non era obbligatoria. Da quando l’Europa ha adottato queste politiche, il debito pubblico è passato dal 65 al 95%, la disoccupazione è aumentata del 40%, molti Paesi hanno imboccato la china della deflazione e il Pil – in Italia – è crollato di 11 punti dal 2007 a oggi.
Gli effetti del pareggio di bilancio sono una vera e propria camicia di forza: lo stato, le regioni e i comuni non potranno più indebitarsi e promuovere politiche antirecessive. In questo modo il debito continua comunque a salire e la crisi si avvita su se stessa con conseguenza sull’economia che possono essere veramente nefaste. E a farne le spese i fondi che dovrebbero garantire i diritti sociali: le spese per la salute, l’edilizia residenziale pubblica, la formazione professionale, l’assistenza sociale, la previdenza, l’esistenza dignitosa di lavoratori e lavoratrici, etc.
E se lo Stato non può indirizzare risorse al di là delle sue entrate per realizzare opere di sviluppo si apre la porta ai privati. Ma i privati intervengono solo laddove l’investimento ha un ritorno.
Per queste ragioni Sel insieme ad altre organizzazioni e rappresentanti della società attiva (tra questi Arci, Sbilanciamoci, Legambiente, Fiom, L’altra Europa per Tsipras, Prc, esponenti del Pd come Fassina e Civati ed altri ancora) partecipa alla raccolta firme per una proposta di legge di iniziativa popolare di revisione costituzionale per cancellare l’introduzione del principio di ‘pareggio di bilancio’ nella nostra Costituzione, attraverso la modifica di alcuni articoli fra cui l’art.81.
Nella proposta di legge di iniziativa popolare – che a differenza del referendum non è solo abrogativa ma propositiva – non si propone solo di tornare al testo precedente alla modifica dell’art. 81, ma si vuole introdurre un principio fondamentale che è presente nelle più avanzate e recenti costituzioni, come quelle di alcuni paesi latinoamericani. Al vincolo contabile si sostituisce quello della soddisfazione dei bisogni e dei diritti dei cittadini. E quindi le manovre di bilancio non possono avere come conseguenza il taglio di spese sociali che ledono quei diritti. In questo modo la proposta di legge, pur non potendo influire direttamente sul Fiscal compact, che è un trattato europeo, rafforza gli argomenti per contrastarlo, dal momento che la logica del rientro forzato dal debito nel giro di venti anni comporta necessariamente una diminuzione della spesa sociale, che è proprio quanto la proposta di legge vuole venga vietato costituzionalmente. Il primato delle leggi contabili verrebbe così sostituito dal primato dei diritti.
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