domenica 16 ottobre 2016
La salute dei bresciani ha un futuro incerto
Tumori, l’oncologo: «Temo l’aumento tra i nati negli anni
Settanta»
Ospedali Civili di Brescia, reparto di Oncologia. Il dottor
Vittorio Ferrari: «A Brescia stiamo pagando un prezzo molto salato per
l’industrializzazione passata, che ha avuto il suo picco negli anni Cinquanta e
Sessanta. Tempi in cui l’economia veniva prima di tutto»
Corriere della Sera, Ed. Brescia - 10 ottobre 2016. «Mai
provato la torta di cioccolata con pancetta croccante? Buonissima». Spedali
Civili di Brescia, reparto di Oncologia. Il dottor Vittorio Ferrari scherza con
un giovanissimo paziente che sogna un futuro da chef (i Braccialetti rossi non
sono solo nell’intensa serie televisiva Rai) senza mai perdere la dolcezza che
colora il volto di quei medici che vivono prima di tutto per i pazienti. Grazie
all’interessamento di Donatella Albini, delegata dal sindaco alle politiche
sanitarie, è lui il secondo specialista del Civile — dopo la dermatologa
Manganoni — ad approfondire con il Corriere le relazioni tra ambiente
inquinato, stili di vita e aumento delle neoplasie.
Il recente rapporto Aiom ricorda che in Italia ci si ammala
di più di cancro, anche se si muore di meno. E a Brescia?
«Oggi abbiamo strumenti diagnostici e cure migliori che in
passato e quindi la sopravvivenza è aumentata. Ma è indubbio che con l’aumento
dell’aspettativa di vita cresce la possibilità di contrarre tumori. Lo scorso
anno abbiamo avuto 1250 nuovi pazienti e un numero impressionante di melanomi,
sarcomi, tumori al pancreas e al surrene. Ricordiamoci che vengono a curarsi
qui persone da tutta Italia, perché possono trovare bravi medici e farmaci
innovativi».
Le cause di tutti questi tumori?
«Nessuna neoplasia nasce per caso. I tumori che curo oggi
hanno iniziato a svilupparsi nell’organismo 15 o 20 anni prima. La loro
crescita è condizionata da una vasta serie di eventi esterni. Fattori
moltiplicanti o rallentanti. Il 70% delle cause di tutti i tumori è dovuto a
scorretti stili di vita (tabagismo, consumo d’alcol, scorretta alimentazione,
sedentarietà) ma il restante 30% è dovuto a fattori ambientali. Sicuramente a
Brescia stiamo pagando un prezzo molto salato per l’industrializzazione
passata, che ha avuto il suo picco negli anni Cinquanta e Sessanta. Tempi in
cui l’economia veniva prima di tutto, come in Cina adesso insomma. Ricordo che
da bambino vedevo il Garza colorarsi di giallo o di rosso a seconda di quali
fusti pulivano le concerie e le industrie della zona nord. Quell’acqua poi
finiva sui terreni agricoli, quindi nella filiera alimentare».
Inquinamento a Brescia vuol dire anche esposizione ai Pcb
della Caffaro? L’ultimo rapporto Sentieri metteva in evidenza l’eccesso di quei
tumori per i quali la Iarc ha trovato una correlazione con l’esposizione a Pcb:
melanomi, non Hodgkin, tumore alla mammella.
«In letteratura ci sono diversi studi sugli effetti dei Pcb,
dagli esiti contradditori: uno della Columbia University (2016) e un altro
svedese evidenziano correlazioni tra concentrazioni di Pcb nel sangue e cancro
al seno. Un altro ha dimostrato che respirare polveri con Pcb aumenta il
rischio di diabete, patologie cardiovascolari e riduce le funzioni cognitive.
Di contro ci sono studi sui consumatori di riso (in Punjab) e di pesce (in
Corea) contaminati da Pcb dove non è stato riscontrato un aumento di neoplasie.
È ancora difficile trovare una correlazione per i soggetti esposti solo
indirettamente (ovvero i non-lavoratori). Non significa che i Pcb non facciano
male. Si ha l’abitudine di non giudicare tossica una sostanza finché non viene
dimostrato scientificamente, mentre dovremmo fare il contrario. Ats sta
portando avanti studi caso controllo sui melanomi e i linfomi Non Hodgkin,
l’università un altro studio sul tumore al fegato, una neoplasia molto diffusa
nel Bresciano soprattutto nell’Ovest e in Valtrompia, per la quale è stato
dimostrato come abbia pesato l’eccessivo consumo di alcol e la diffusione delle
epatiti B e C».
Alle conoscenze attuali i Pcb sono meno «cangerogeni» del
fumo di sigaretta o dell’amianto?
«È indubbio. Detto questo bisogna lavorare molto per
approfondire la cancerogenicità di tantissime sostanze, Pcb compresi. Dobbiamo
riappropriarci del principio di precauzione».
Oltre agli studi in corso, sarebbe utile uno studio di
coorte su tutti i 25mila abitanti della zona Caffaro?
«Certo. Però affiancato ad un altro studio di coorte su un
campione di popolazione di un’altra città industrializzata ma non così esposta
ai Pcb e ad un terzo studio su una popolazione di una zona rurale, una sorta di
“bianco”».
I bresciani nati tra gli anni Sessanta e Ottanta sono stati
esposti ad una serie maggiore di inquinanti: emissioni industriali non
filtrate, traffico, elementi xenobiotici nella catena alimentare…
«Lo so. E purtroppo mi aspetto un aumento di neoplasie nei
prossimi anni quando i bambini d’allora saranno anziani. E un abbassamento
della curva della sopravvivenza. Più fortunato chi è nato dopo il Duemila,
anche se è più esposto a fonti d’inquinamento elettromagnetico, a partire dai
telefonini. Di cui non sappiamo ancora bene gli effetti».
Bambini con smartphone e spesso con cattive abitudini
alimentari: qui c’entra lo stile di vita…
«È indubbio che i bambini oggi abbiano una alimentazione con
un eccesso di zuccheri e poca frutta e verdura. Ma non farei una distinzione
così netta tra stili di vita e inquinamento: la signora che va in palestra
usando la macchina tutela la sua salute ma non la nostra. Il nostro stile di
vita influisce sull’ambiente. Eccome»
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