Chi ha infoibato chi?
Ossia, come si manipola la storia attraverso le immagini: il "Giorno
del Ricordo" e i falsi fotografici sulle foibe.
di Piero Purini con la collaborazione del gruppo di lavoro «Nicoletta
Bourbaki»*
1. UN GIORNO A DANE, SLOVENIA, 31 LUGLIO 1942
Guardate questa foto:
Un plotone d’esecuzione in divisa, cinque fucilati di
schiena che attendono la scarica.
Guardate ora quest’altre immagini:
Ce ne sono molte altre simili nei manifesti che
pubblicizzano iniziative per il Giorno del ricordo.
A questo punto vi sarete convinti: i fucilati, chiaramente,
sono italiani che vengono uccisi dalle truppe jugoslave.
La foto viene messa in onda nella trasmissione Porta a porta
condotta da Bruno Vespa per la giornata del ricordo del 2012. Ospiti in studio,
tra gli altri, gli storici Raoul Pupo e Alessandra Kersevan.
In quella trasmissione però emerge, con enorme disappunto di
Bruno Vespa, che la foto non mostra la fucilazione di vittime italiane da parte
dei feroci partigiani titini. Tutt’altro. Alessandra Kersevan fa notare che la
foto ritrae la fucilazione di cinque ostaggi sloveni da parte delle truppe
italiane durante l’occupazione italiana della Slovenia (1941-1943). Bruno Vespa
attacca furiosamente la signora Kersevan (non si sa perché altri ospiti vengono
definiti professore o professoressa, titolo che spetterebbe di diritto anche a
questa ricercatrice storica); Raoul Pupo interviene sulla questione solo quando
viene interpellato direttamente dalla Kersevan e conferma che il contenuto
dell’immagine è completamente opposto a quanto viene fatto passare nella
trasmissione. Quando è costretto a prendere atto che la foto ritrae
effettivamente ostaggi sloveni fucilati da un plotone d’esecuzione italiano, il
conduttore si giustifica dicendo che l’immagine è tratta da un libro sloveno.
Bruno Vespa non porgerà mai le proprie scuse alla professoressa
Kersevan per il madornale errore.
In effetti la fotografia è stata scattata nel villaggio di
Dane, nella Loška Dolina, a sudest di Lubiana. Si sa anche il giorno in cui la
foto fu scattata, il 31 luglio 1942, e addirittura i nomi dei fucilati:
Franc Žnidaršič,
Janez Kranjc,
Franc Škerbec,
Feliks Žnidaršič,
Edvard Škerbec.
Come nella Wehrmacht e nelle SS, anche nell’esercito
italiano si documentavano stragi e crimini, salvo tenerli nascosti negli anni
successivi per confermare il (finto) cliché del «bono soldato italiano».
Il rullino di cui la fotografia faceva parte viene
abbandonato dalle truppe italiane dopo l’8 settembre 1943 e finisce nelle mani
dei partigiani. Nel maggio del 1946 la foto (insieme ad altro materiale che
testimonia la Lotta di liberazione jugoslava ed i crimini di guerra italiani e
tedeschi in Slovenia) viene pubblicata a Lubiana nel libro Mučeniška pot k
svobodi («La travagliata strada verso la libertà»).
Nello stesso anno, sempre a Lubiana, viene pubblicato –
stavolta in italiano – un altro libro
sullo stesso tema, Ventinove mesi di occupazione italiana nella provincia di
Lubiana: considerazioni e documenti, a cura di Giuseppe Piemontese.
Da quest’ultimo libro è tratta questa pagina, che riporta la
foto con la didascalia: «…e un ufficiale si diletta a fotografare…» … che è la continuazione del commento ad un foto pubblicata
accanto: «Prima di venir fucilati devono scavarsi la fossa». Non è la stessa
fucilazione ma sono gli stessi fucilatori, è un’esecuzione di ostaggi nella
vicina Zavrh pri Cerknici, avvenuta quattro giorni prima.
La stessa immagine però è passata persino sul Tg3 riferita alle
vittime delle foibe.
In un’altra pubblicazione – Tone Ferenc, La provincia
“italiana” di Lubiana. Documenti 1941-1942, Istituto Friulano per la Storia del
Movimento di Liberazione, Udine 1994 – si trova la didascalia con tutte le
informazioni necessarie a identificare la fucilazione di Dane. Eppure non basta: si continuano a presentare i cinque
ostaggi sloveni della foto come italiani vittime degli slavocomunisti.
In alcuni casi l’uso della foto nei manifesti della Giornata
del ricordo scatena reazioni internazionali: a protestare contro il clamoroso
errore (ammesso e non concesso che non si tratti di una bufala voluta) è
addirittura il Ministero degli esteri sloveno che segnala al Comune di Bastia
Umbra l’uso improprio della fonte. Altre volte lettere giungono da storici
indipendenti come Alessandra Kersevan, Claudia Cernigoi e Sandi Volk. Le
reazioni sono spesso di scuse (con la conseguente rimozione del materiale
iconografico da siti on line), ma in alcuni casi – quali quella dell’assessore
alla cultura di Bastia Umbra, Rosella Aristei – si procede ad un’improbabile
giustificazione dell’uso della foto come denuncia simbolica della violenza,
esecrabile in tutte le sue varie forme.
La vicenda della foto di Dane ha il suo apice in una lettera
di protesta spedita direttamente al presidente Napolitano da parte di Miro
Mlinar, Presidente dell’Associazione dei combattenti per i valori della lotta
di liberazione nazionale di Cerknica (Slovenia), offeso dal fatto che
l’immagine fosse stata addirittura pubblicata impropriamente sul sito del
Ministero degli interni italiano.
Il Presidente dell’Associazione dei combattenti slovena
sostiene che è stata proprio la pubblicazione sul sito ufficiale italiano a
giustificare in seguito l’uso scorretto della foto, facendola diventare uno
strumento improprio per aizzare l’odio verso il popolo sloveno. Per questo
suggerisce a Napolitano di spostare la data del Giorno del ricordo al 10
giugno, «data del vero inizio delle tragedie del popolo italiano.» A quanto risulta, il primo presidente proveniente dal partito italiano che più aveva
contribuito alla Resistenza non si è nemmeno degnato di rispondere a Mlinar.
In qualche modo, tuttavia, la vicenda dell’abuso della foto
di Dane arriva fino ai media nazionali. Finalmente, se ne
occupa un articolo su "l’Espresso". Si spera che con questo passaggio su un periodico a
diffusione nazionale finalmente Franc Žnidaršič, Janez Kranjc, Franc Škerbec,
Feliks Žnidaršič ed Edvard Škerbec possano avere la giustizia e la collocazione
storica che si meritano.
2. FUCILATI MONTENEGRINI SPACCIATI PER «VITTIME DELLE FOIBE»
Le bufale legate alla giornata del ricordo non si limitano
alla fucilazione degli ostaggi di Dane. Ecco qui un altro esempio:
Nell’intento di chi ha utilizzato queste foto, la prima
rappresenterebbe un gruppo di italiani uccisi dai titini e la seconda un
partigiano che prende a calci un povero prigioniero italiano.
Anche in questo caso invece la realtà è un’altra (già le
divise dei due militari della seconda immagine non lasciano dubbi che si tratti
di un soldato e di un ufficiale italiano): entrambe le foto fanno parte dello
stesso rullino e documentano la fucilazione di ostaggi e partigiani in
Montenegro, occupato dall’esercito italiano dall’aprile del 1941 all’8
settembre 1943. Ne esiste la sequenza completa (sul sito criminidiguerra.it ),
qui le tratteremo una per una perché ogni fotogramma contiene particolari che
smentiscono si tratti di italiani.
I prigionieri montenegrini sono presi a calci da un soldato
italiano riconoscibile dalla divisa mentre vengono portati sul luogo della
fucilazione:
Poi i prigionieri sono schierati davanti al plotone
d’esecuzione. Che non si tratti di italiani è intuibile dal copricapo del terzo
e del quinto condannato da sinistra che indossano la tipica berretta
montenegrina. Quattro ostaggi alzano il pugno chiuso, evidente testimonianza
che – almeno quei quattro – sono partigiani comunisti. L’uomo al centro della
foto, accanto a quello che mostra il pugno, indossa il berretto partigiano, la
cosiddetta “titovka”. Parte la scarica (italiana)…
Gli ostaggi sono morti. E’ la stessa foto che illustra la
notizia del Giorno del ricordo a Cernobbio, ma ora sappiamo che sono vittime
montenegrine degli italiani e non italiani vittime degli jugoslavi.
L’ufficiale italiano, la cui mano si intravede in alto a
sinistra, spara il colpo di grazia ai fucilati. Anche in questa foto c’è un
particolare che conferma il fatto che le vittime non sono italiane: uno dei
morti calza le tipiche babbucce serbo-montenegrine, le opanke.
L’ultima foto del rullino:
3. NUMERO D’INVENTARIO 8318
Altra foto che non rappresenta vittime delle foibe, ma che
viene fatta passare come tale:
Fin da subito questa foto non convince per diversi
particolari: il paesaggio non è per nulla istriano o carsico, le divise non
sembrano assolutamente divise “titine” o anche di partigiani non inquadrati in
formazioni regolari, i cadaveri sono troppi e troppo “freschi” per essere stati
estratti da una foiba. Nel caso in cui non si trattasse di vittime estratte da
una foiba ma di un’esecuzione sommaria da parte degli jugoslavi, colpisce
invece il fatto che i morti sembrano essere tutti maschi e che non ci sia tra
loro nemmeno una persona in divisa (dal momento che, nella vulgata fascista e
neofascista sulle foibe, nel 1943 sarebbero stati eliminati tutti coloro che
potevano essere considerati funzionari dello Stato italiano, compresi dunque
militari e pure donne).
Dopo innumerevoli supposizioni (Katyn? Stragi di ebrei nel
Baltico?), grazie alla solerzia di un giapster, Tuco, troviamo l’originale. Si
trova nell’archivio dell’Armata Popolare Jugoslava a Belgrado. Che si tratti di una stampa dal negativo è chiaro dalla
pulizia e dalla definizione dell’immagine: in nessuno dei siti italiani che
riportano la foto, questa è così nitida e i dettagli così visibili. Ma ciò che
è più interessante è quel che c’è scritto dietro. Il sito, infatti, riporta
anche il retro della foto, dove ogni archivio fotografico segnala le note e la
descrizione relativa all’immagine.
La traduzione è la seguente: «Numero d’inventario 8318.
Crimine degli italiani in Slovenia. Negativo siglato A-789/8. Originale: Museo
dell’JNA a Belgrado»
Dunque non si tratta, nemmeno in questo caso, di vittime
delle foibe, ma piuttosto del contrario: vittime slovene uccise dall’esercito
italiano.
Ciò che è impressionante è la velocità con cui su internet
un’immagine diventa virale (e dunque “vera”): cercando nel web il 10 febbraio
alle otto di sera, quest’immagine – secondo le mie modeste conoscenze
informatiche – appariva sette volte, tutte e sette associata al descrittore
“foibe”. Due giorni dopo la foto era reperibile su
ben 103 siti, a dimostrazione dell’incredibile potenza moltiplicativa di
Internet, pur trattandosi di una bufala.
4. SI PARLA DEL «DRAMMA DEGLI INFOIBATI» E SI MOSTRA UN
UFFICIALE DELLE SS MA FORSE LA STORIA E’ ANCORA PIU’ ASSURDA
Su internet si trova anche la seguente immagine:
Immagine generalmente associata al massacro degli ufficiali
polacchi a Katyn, alla liquidazione degli Shtetl in Polonia ed Ucraina, alle
uccisioni delle foibe, addirittura ad esecuzioni da parte austro-ungarica di
prigionieri catturati durante la disfatta di Caporetto nel 1917. Non ho trovato
un archetipo, ma escludo tanto Katyn quanto le foibe in quanto non esistono
testimonianze fotografiche delle esecuzioni ed in entrambi i casi non avrebbe
avuto senso spogliare le vittime. L’attribuzione più plausibile mi sembra
quella dell’eliminazione di prigionieri (russi?) in qualche villaggio dell’est
o in un campo di concentramento, vista anche la divisa del boia, che sembra
essere delle SS-Totenkopfverbände (Testa di morto), reparto adibito alla
custodia dei campi nazisti.
5. BRUNO VESPA CI RICASCA: I PARTIGIANI IMPICCATI A
PREMARIACCO
Torniamo ora a Bruno Vespa. Oltre a non essersi mai scusato
ufficialmente con Alessandra Kersevan per l’errore (?) dei fucilati di Dane,
nella trasmissione dedicata alla Giornata del ricordo di quest’anno (2015),
mentre sta parlando di «esecuzioni sommarie a Trieste», manda in onda questa
foto:
Chiaramente lo spettatore ignaro viene indotto a pensare che
si tratti di italiani impiccati dai partigiani titini. Invece non è così: come
nel caso di Dane, Vespa mostra in un contesto un’immagine che è esattamente
l’opposto. Si tratta infatti di partigiani friulani (più uno goriziano ed uno
sloveno) impiccati a Premariacco in Friuli il 29 maggio del 1944.
Anche i nomi
delle vittime di questa strage sono conosciuti:
Sergio Buligan, 18 anni;
Luigi Cecutto, 19 anni;
Vinicio Comuzzo, 18 anni;
Angelo Del Degan, 18 anni;
Livio Domini, 18 anni;
Stefano Domini, 19 anni;
Alessio Feruglio, 19 anni;
Aniceto Feruglio, 17 anni;
Pietro Feruglio, 18 anni;
Ardo Martelossi, 19 anni;
Diego Mesaglio, 20 anni;
Mario Noacco, 20 anni;
Mario Paolini, 18 anni,
tutti di Feletto Umberto.
Inoltre:
Ezio Baldassi di San Giovanni al Natisone, 16 anni;
Guido Beltrame di Manzano, 60 anni;
Sergio Torossi di Corno di Rosazzo, 17 anni;
Antonio Ceccon di Dogna, 19 anni;
Luigi Cerno di Taipana, 21 anni;
Bruno Clocchiatti di Corno di Rosazzo, 17 anni;
Oreste Cotterli di Udine, 41 anni;
Agostino Fattorini di Reana del Rojale, 24 anni;
Dionisio Tauro di Chions, 41 anni;
Guerrino Zannier di Clauzetto, 25 anni;
Mario Pontarini o Pontoni;
Luigi Bon di Gorizia, 35 anni;
Jože Brunič di Novo Mesto.
Dal momento che in contemporanea ci fu un’esecuzione
collettiva anche a San Giovanni al Natisone e non è perfettamente chiaro quali
dei partigiani elencati sopra siano stati uccisi a Premariacco e quali a San
Giovanni, pubblichiamo qui di seguito anche la foto dei caduti per la libertà
di San Giovanni al Natisone, sperando in questo modo di evitare preventivamente
che si insulti anche la loro memoria.
6. CHE C’ENTRA SREBRENICA CON LE FOIBE?
C’è poi l’articolo de «Il Piccolo» di Trieste che sarebbe
esilarante se non trattasse di un argomento, anzi due, così macabro e doloroso.
Il sottotitolo della foto reca la dicitura: «L’esumazione di
una parte dei cadaveri rinvenuti in una foiba». Peccato che la foto sia a
colori, gli esumatori indossino jeans e sia evidente come l’immagine sia di
decenni più recente. Facendo una rapida ricerca su internet si trova
l’originale: è una fossa comune nel villaggio di Kamenica in Bosnia, nel
Cantone di Tuzla, in cui sono stati sepolti musulmani bosniaci dopo la
deportazione da Srebrenica.
L’errore è così grossolano che il giornale nel giro di poche
ore sostituisce la foto con quella che si riferisce effettivamente al recupero
di corpi dalla foiba di Vines, 1943.
7. LA «VERA STORIA» CON COPERTINA FALSA
Passiamo poi ad uno dei taroccamenti più evidenti
dell’intera vicenda “foibe”, che richiama alcuni dei luoghi comuni più triti
sulla bestialità dei partigiani, la sanguinarietà truculenta e la
partecipazione delle partigiane (le terribili “drugarice”) alle azioni più
violente. Si tratta della copertina del libro Una grande tragedia dimenticata.
La vera storia delle foibe, di Giuseppina Mellace, edito da Newton Compton.
Nella copertina si vede un trio (ad occhio: un partigiano e
due partigiane) nell’atto di sgozzare una vittima (presumibilmente un povero
italiano). Anche qui però il taroccamento è palese.
Anche in questo caso si assiste ad un totale ribaltamento
del senso dell’immagine. I carnefici della foto infatti sono una Crna trojka
(“Terzetto Nero”), unità četniche, cioè appartenenti all’esercito nazionalista
serbo. Si trattava di una sorta di tribunale volante che aveva il compito di
eliminare collaborazionisti dell’occupatore. Con l’evolversi della guerra e con
l’avvicinamento di Draža Mihailović ai tedeschi, le Crne trojke si dedicarono
sempre più all’esecuzione sommaria di partigiani comunisti, di simpatizzanti
del movimento partigiano e dei loro familiari. Che si tratti di četnici e non
di partigiani è facilmente deducibile dall’abbigliamento: anziché la bustina
partigiana (la cosiddetta titovka, già citata nel caso dei fucilati
montenegrini), gli individui fotografati sul libro della Mellace hanno in testa
una šajkača, il tipico copricapo serbo, utilizzato dai nazionalisti serbi.
Notevole la differenza tra una titovka (che peraltro è
sempre ornata da una stella rossa) e una šajkača (che solitamente ha in fronte uno
scudo con l’aquila serba, decisamente più grande, come si può notare dal
copricapo del četniko in piedi al centro della foto).
Il fatto poi che siano četnici esclude che le due persone in
piedi siano donne: è noto che i nazionalisti serbi portavano i capelli lunghi
alle spalle.
Inoltre che la vittima non sia un italiano è nuovamente
intuibile dalle calzature, che sono – come nel caso di alcuni dei fucilati del
Montenegro – opanke, cioè le babbucce tipiche della Serbia e del Montenegro.
8. MORTI NEI LAGER NAZISTI E FASCISTI SPACCIATI PER…
INDOVINATE COSA?
Per taroccare le immagini relative alla Giornata del ricordo
non si è disdegnato di utilizzare anche i campi di concentramento e sterminio
nazisti.
Il Comune di Brisighella (ma a grandi linee mi pare che
l’utilizzo della foto sia più diffuso) ha commemorato le foibe con questa
foto che in realtà è una foto di cadaveri nel campo di
Bergen-Belsen; mentre su alcuni siti e addirittura in un manifesto della
Provincia di Foggia è apparsa una foto di bambini in un campo nazista spacciata – non si capisce bene in che modo – per una foto
relativa alle foibe.
Sempre in tema di campi di concentramento ecco un’altra foto
clamorosamente sbagliata:
In realtà si tratta di un deportato croato nel campo di
concentramento italiano dell’isola di Arbe.L’immagine è addirittura sulla
copertina di un libro di Alessandra Kersevan "Lager italiani".
Ancora una volta le fotografie utilizzate per la Giornata
del ricordo girano la verità storica di 180°, presentando le vittime come
aguzzini e viceversa.
9. FRANCESI IN FUGA DA HITLER SPACCIATI PER ESULI ISTRIANI
Non basta, manca l’esodo. Ecco qui una foto che ha girato parecchio su internet: una bambina e la sua famiglia scappano
dall’occupazione jugoslava di una città istriana.
Ma ecco la sorpresa: la didascalia dice: «Bambini fuggono dall’avanzata di Hitler
nel 1940». Si tratta di una foto scattata nel giugno del 1940 quando le truppe
del Reich invasero la Francia. Dunque sbagliata la collocazione (non Istria, ma
Francia), sbagliato l’anno (non 1945-47, ma 1940), sbagliato l’invasore (non
Tito, ma Hitler).
La foto si trova addirittura sulla copertina del libro "Fleeing Hitler" di Hanna Diamond, storica e francesista, docente all’Università di Bath in
Inghilterra, ma come ben si sa, raramente in Italia si prendono in
considerazione gli studi stranieri…
10. BRIGANTI INFOIBATI
Appare su un sito la seguente foto di infoibati:
Peccato che queste vittime delle foibe siano state uccise
circa ottant’anni prima, e non dall’esercito jugoslavo, bensì da quello
italiano. Infatti è una delle tante foto che le armate sabaude scattavano ai
cadaveri dei briganti appena uccisi, nell’intento di dimostrare la
semibestialità delle masse rurali meridionali, di documentarlo con
scientificità lombrosiana e di assecondare il gusto morboso dell’epoca. Al di
là dell’errore marchiano (ma ci siamo abituati) in questo caso è interessante
vedere la genesi dell’errata attribuzione che dimostra la superficialità
assoluta con cui molti scelgono la documentazione fotografica da allegare agli
articoli.
11. DOVEROSE RIFLESSIONI
Colpisce il fatto che, mentre per le foibe manca una
documentazione fotografica delle uccisioni e le immagini relative al recupero
dei corpi sono abbastanza rare (il che potrebbe essere un ulteriore riscontro
che le effettive uccisioni nelle cavità carsiche furono relativamente poche,
nell’ordine di grandezza delle centinaia e non delle migliaia), immagini
dell’esodo sono invece piuttosto diffuse, soprattutto di quello da Pola, ma in
occasione della Giornata del ricordo non si disdegna di adoperarne di fasulle.
Perché?
Una parte di responsabilità va sicuramente attribuita al
fatto che spesso queste ricorrenze sono organizzate (o pubblicizzate
graficamente) da persone senza una sufficiente preparazione storica, quando non
del tutto estranee all’ambito. Mi pare possibile che le foto vengano
selezionate in base all’impatto emotivo che possono suscitare su chi le guarda
e dunque non si vada troppo per il sottile. La foto dell’esodo “francese” ha in
primo piano un’adolescente dall’espressione spaventata, che sicuramente è un
elemento di grande presa emotiva e ha l’effetto di rappresentare l’esodo
istriano per quello che non è stato: una fuga disordinata da un invasore
sanguinario (come invece lo fu quella dei profughi francesi dalla Wehrmacht)
invece che un processo migratorio sviluppatosi nell’arco di un decennio
abbondante, come i dati statistici permettono di rilevare.
Tuttavia ciò che colpisce di più è il fatto che la maggior
parte dei falsi che siamo riusciti a smascherare presenti un totale
ribaltamento del contenuto: sono foto che mostrano vittime slovene (o croate o
partigiane) uccise dagli italiani, ma vengono presentate come l’opposto,
italiani vittime delle violenze slavocomuniste.
Una spiegazione “tecnica” potrebbe essere quella che gli
addetti al reperimento del materiale si siano limitati a digitare su Google
qualcosa tipo “Jugoslavia”, “crimini” o “vittime” e “italiani” e senza
accorgersi siano capitati in siti dove vengono documentate le violenze italiane
in Jugoslavia: l’utilizzo di quelle immagini sarebbe dunque semplicemente un
errore di superficialità. Se è vero che la cura nella corretta identificazione
delle immagini fotografiche è significativamente inferiore a quella riservata
ad altre tipologie documentali, nel caso delle immagini delle foibe questa
pessima pratica sembra quasi essere la norma.
Non mi sento però di escludere che questa totale inversione
sia invece dolosa: che si tratti di un atto volontario nato proprio per
instillare on line confusione e il dubbio che le foto delle vittime della
resistenza siano effettivamente tali (e rendere questo dubbio virale attraverso
l’incredibile forza di replica di internet), o forse più semplicemente per
provocare, offendere e screditare la memoria della Lotta di liberazione
jugoslava.
Un altro aspetto che salta agli occhi ricercando in questo
campo è la carenza di immagini testimonianti la repressione violenta degli
italiani ad opera dell’Esercito Popolare di Liberazione Jugoslavo, se
confrontate alle foto esistenti di violenze italiane in Jugoslavia, decisamente
più numerose e dettagliate. D’altra parte ciò è fisiologico: i popoli jugoslavi
subirono un’invasione che provocò un numero enorme di vittime. La Jugoslavia
ebbe un milione di morti su una popolazione di quindici milioni (cfr. John
Keegan, Atlas of the Second World War); nella provincia di Lubiana vi furono
30.299 vittime su una popolazione totale di 336.300 abitanti (9% degli
abitanti). Nella Venezia Giulia, invece, il numero delle vittime “italiane”
dell’Esercito Popolare di Liberazione Jugoslavo arriva a poche migliaia
(contando anche coloro che morirono in prigionia di stenti e malnutrizione,
cosa che accadeva anche nei campi di prigionia angloamericani), tra cui alcune
centinaia di “infoibati”. Non lo dico io ma il rapporto della Commissione
storica italo-slovena, che certo non si può accusare di “titoismo”.
A dispetto della risonanza mediatica che viene data alle
foibe e alle vicende del confine orientale, si trattò di un episodio minore e
periferico in quell’immane catastrofe che fu la seconda guerra mondiale.
L’attribuzione a sé da parte italiana di questo materiale
iconografico potrebbe semplicemente mascherare la consapevolezza di non averne
o di averne pochissimo e di volersi opportunisticamente appropriare di quello
dell’avversario per colmare le proprie lacune, in un’epoca come quella odierna
in cui le immagini contano di più dei concetti.
L’idea che alla base di questi errori vi sia un opportunismo
di questo tipo viene in qualche modo confermata anche dall’analisi di chi sono
gli autori. Se nel caso di singoli utenti di Facebook o di blogger che
arricchiscono con immagini i propri commenti, l’errore in buona fede può
sicuramente starci; nel caso di giornalisti, di grafici o di impiegati comunali
che cercano materiale fotografico per la Giornata del ricordo l’errore mi
sembra possibile, ma abbastanza più grave. Del tutto ingiustificabile invece
risulta un’attribuzione sbagliata quando si tratta di media a diffusione
nazionale e di opinion maker come Bruno Vespa, oppure di istituzioni pubbliche
nazionali, come nel caso del sito del Ministero degli interni denunciato da
Mlinar. Un ultimo caso in questo senso è stata la foto allegata ai tweet per il
10 febbraio della Camera dei deputati e del presidente della Camera Laura Boldrini:

L’originale di questa foto si trova alla Sezione storia
della Biblioteca Nazionale e degli studi di Trieste (Narodna in študijska
knjižnica – Odsek za zgodovino). A quanto ne so è stata pubblicata solo una
volta, nel libro di Jože Pirjevec Foibe. Una storia d’Italia (Einaudi 2009). La
foto completa è questa:
Si noti la didascalia presente sotto la foto.
Non appena alcuni utenti segnalano via tweet la
falsificazione, lo staff comunicazione di Montecitorio si
affretta a rimuovere la foto da twitter scusandosi per l’errore ma,
considerando che quell’immagine è stata pubblicata solo ed esclusivamente con
una didascalia che ne spiega con chiarezza il contesto, è difficile pensare che
il suo utilizzo per raffigurare le foibe sia dovuto soltanto a un’ingenuità.
Ciò che inquieta è che siano le stesse istituzioni dello Stato a prestarsi a
questo gioco, ma dal momento che la Giornata del ricordo è diventata uno dei
pilastri della creazione di una mitologia collettiva nazionale italiana e della
memoria condivisa, non stupisce che il travisamento della realtà storica e
delle immagini venga portato avanti anche ad alto livello politico.
Il materiale fotografico è documentazione storica. Dovrebbe
essere utilizzato come tale, con rigore e consentendo a chi lo guarda di avere
tutte le informazioni che gli permettano di utilizzarlo al meglio: che cosa
mostra la foto, dove è stata scattata, quando, da chi, dov’è conservata.
Dovrebbe essere uno strumento per capire meglio gli avvenimenti storici, per
poter comprendere gli eventi non solo attraverso la lettura, il racconto e la
riflessione, ma anche attraverso la vista. L’utilizzo che invece si è fatto del
materiale fotografico che abbiamo preso in esame è l’opposto di questo. Le
immagini sono state utilizzate (e manipolate) per colpire le emozioni e non la
ragione, sono state usate come santini della vittima di turno, come oggetti
devozionali, reliquie con le quali esprimere e consolidare la propria fede,
sono state manipolate per dimostrare l’esatto opposto di ciò che rappresentano.
E, come buona parte delle reliquie, si sono dimostrate false.
A noi il compito di resistere, continuando a segnalare le
manipolazioni della storia e a contrastare l’omologazione e il pensiero unico.
___
* Piero Purini (Trieste, 1968) si è laureato in storia
contemporanea all’Università di Trieste sotto la guida del prof. Jože Pirjevec.
Ha poi frequentato corsi di perfezionamento post laurea presso l’Università di
Lubiana e quindi ha conseguito il dottorato di ricerca presso l’Università di
Klagenfurt sotto la guida del prof. Karl Stuhlpfarrer. Si occupa principalmente
di movimenti migratori, di spostamenti di popolazione e di questioni legate all’identità
e all’appartenenza nazionale: il fatto di aver studiato in Italia, Slovenia ed
Austria gli ha permesso di analizzare la storia di una regione etnicamente
complessa come la Venezia Giulia in una prospettiva più internazionale ed
europea. È autore dei libri Trieste 1954-1963. Dal Governo Militare Alleato
alla Regione Friuli-Venezia Giulia (Trieste, Circolo per gli studi sociali
Virgil Šček – Krožek za družbena vprašanja Virgil Šček, 1995) e Metamorfosi
etniche.
I cambiamenti di popolazione a Trieste, Gorizia, Fiume e in
Istria. 1914-1975 (KappaVu, Udine 2010; nuova edizione: 2014). Per Giap ha
scritto il saggio Quello che Cristicchi dimentica. Magazzino 18, gli «italiani brava gente» e le
vere larghe intese (febbraio 2014). Affianca all’attività di storico anche
quella di musicista.
Nicoletta Bourbaki è l’eteronimo usato da un gruppo di
inchiesta su Wikipedia e le manipolazioni storiche in rete, formatosi nel 2012
durante una discussione su Giap. Con questa scelta, il gruppo omaggia Nicolas
Bourbaki, collettivo di matematici attivo in Francia dal 1935 al 1983.
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