lunedì 21 maggio 2018
Alla piaga delle morti sul lavoro non si può più rispondere solo con la retorica
Basta fare una ricerca su Google, cliccando “incidente alle
Acciaierie Venete di Padova” (di proprietà dell’attuale presidente di
Federacciai), per rendersi conto che non c’è nulla di casuale nel devastante
incidente avvenuto la mattina di domenica 13 maggio presso lo stabilimento di
Padova.
La prima notizia racconta della morte di Mohamed Awad Hassan
Abd El Fattah. Nell’agosto del 2013 l’operaio egiziano di 43 anni, precipita in
una buca camminando in una passerella degli impianti durante il turno di notte.
Pochi mesi prima, l’8 maggio del 2013, era morto nella stessa azienda, ma a
Sarezzo (BS), un padre di famiglia di 56 anni, Matteo Canta. L’operaio
italiano, in questo caso, precipita in una vasca di raffreddamento del reparto
laminatoi.
Nel luglio 2017 è toccato a due operai veneziani, Andrea
Brigato di 37 anni e Federico Fava di 47 anni, rischiare la morte dopo essere
precipitati da un carroponte nello stabilimento di Padova delle Acciaierie
Venete.
L’ennesimo grave incidente il 13 maggio scorso: una siviera,
contenente 90 tonnellate di acciaio fuso, è crollata – a un metro di altezza da
terra – per la rottura di un perno. Gli schizzi di magma hanno investito
quattro operai, due italiani e due stranieri, ustionandoli tutti gravemente:
Bratu Marian (il più grave), Vivian Simone, Di Natale David e Federic Gerard.
La sequenza interminabile di morti sul lavoro e d’incidenti
gravi sta provocando una giusta indignazione, grazie alla conoscenza degli
eventi e alla diffusione tramite i social delle notizie non più occultabili dai
media come spesso succedeva in passato. Sono tante le persone che chiedono si
metta fine a questo stillicidio di morti sul lavoro. La parola più ripetuta è
“ora basta”!
Il rischio che all’indignazione si risponda solo con la
retorica, con frasi fatte (come la mancanza di cultura della sicurezza), con
reazioni solo ex-post… Se continuiamo cosi, specie come sindacati (confederali
e non) finiamo per creare solo un senso di fastidio o di angoscia. Non ci sono
risposte che possano interrompere questo stillicidio da un giorno all’altro. Ma
esistono richieste mirate (che non siano solo l’aumento dei controlli e delle
sanzioni) che possono concretamente invertire la tendenza.
La prima riguarda una misura fiscale alternativa alla flat
tax e complementare ad altre misure di sostegno al reddito: consentire la
deducibilità fiscale alle imprese per tutti gli investimenti (di qualsiasi
natura tecnologica-impiantistica, ergonomica-organizzativa e formativa)
finalizzati al miglioramento della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
Accompagnare questa misura con un forte aggravio assicurativo per le imprese in
cui si registrano infortuni mortali e invalidanti, oltre malattie
professionali. Dopo questa misura nessuno parlerebbe più della prevenzione solo
come un costo e non come un investimento.
La seconda riguarda l’utilizzo coerente del saldo attivo
accumulato negli anni dall’INAIL (oltre 32 miliardi di euro), oggi in mano alla
Tesoreria di Stato che ne dispone impropriamente per coprire altre spese. Dal
2006 al 2015 la media di avanzo annuale della Gestione Industria dell’INAIL (il
90% delle entrate correnti) è stata di ben 1,2 miliardi di euro. Questi soldi
devono tornare a imprese e lavoratori (l’assicurazione infortuni è una forma di
salario indiretto come i contributi previdenziali) riducendo il cuneo
contributivo e destinando più risorse sia alle prestazioni assicurative in
termini di risarcimenti, cure e riabilitazioni, sia agli incentivi alle imprese
e alle parti sociali per azioni finalizzate alla prevenzione e al miglioramento
continuo.
La terza riguarda la destinazione dei Fondi pubblici del
MISE (il Ministero dello Sviluppo Economico). Il comparto industriale militare
assorbe nel 2018 oltre 3/4 del budget MISE destinato istituzionalmente agli
investimenti per lo sviluppo e la competitività di tutte le industrie italiane.
Una quota sproporzionata, che supera 3,5 miliardi di euro (+30 per cento
rispetto al 2014), a danno di tutti gli altri settori industriali nazionali.
Almeno la metà di questi soldi, destinati impropriamente a programmi militari
fuori dal Bilancio della Difesa, dovrebbero essere ricondotti a misure di
investimento nel campo di Industry 4.0 con un’attenzione specifica alle misure
di ergonomia e di miglioramento continuo nell’ambito della salute e sicurezza
sul lavoro.
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