giovedì 24 maggio 2018
Prime valutazioni sul famigerato "Contratto di Governo"
Settantaquattro giorni dopo le elezioni del 4 marzo, la
telenovela della formazione del nuovo governo pare giunta al suo epilogo. Dopo
avanzamenti, arretramenti, proclami, annunciazioni e dichiarazioni più o meno
in libertà, anche il famoso, o meglio, famigerato “Contratto di Governo” è
definito.
Il quadro che ne emerge, è inquietante. Non abbiamo qui lo
spazio per analizzare nel dettaglio il programma espresso da Lega e M5S.
Tuttavia, sarà sufficiente indicare i punti principali dell’accordo, quelli che
ne riassumono la logica costitutiva e ne esprimono la natura fondamentalmente
reazionaria e di destra, tenendo conto che le singole misure non possono essere
considerate separatamente, ma nella loro ispirazione complessiva, in cui sono
connesse in modo organico:
Giustizia – non è a caso che cominciamo da questo punto. È forse
l’autentico marchio di fabbrica di questo governo nascente. È qui che la natura
poliziesca a fortemente autoritario-repressiva di questa compagine emerge in
tutta la sua nettezza. Colpisce l’eliminazione del c.d. trattamento minorile,
che equipara di fatto il trattamento delle fattispecie penali tra giovani
(giovanissimi?) e adulti. Collegata alla perenne giaculatoria della “certezza
della pena”, emerge la volontà di cancellare l’abrogazione e la
depenalizzazione dei reati (alcuni dei quali sono oggi semplici illeciti
amministrativi e civili), cancellare la non-punibilità per i reati lievi
secondo l’attuale giurisprudenza e l’estinzione del reato per condotte
riparatorie. Da ciò discende la necessità di costruire nuove strutture
carcerarie, la cui previsione è contenuta nell’accordo, il cui regime sarebbe
peraltro fortemente irrigidito, configurandosi come vero e proprio carcere
duro, a cui si aggiungerebbe un inasprimento del 41 bis. Ciliegina sulla torta
è la c.d. legittima difesa, che verrebbe sostanzialmente liberalizzata. È
inoltre prevista una stretta sulle “occupazioni abusive”. Ciliegina sulla
torta: è prevista la “riduzione dell’impunità” per “crimini particolarmente
odiosi”, come il furto, la rapina e la truffa. Non è difficile immaginare in cosa
ciò si traduca praticamente: l’ulteriore persecuzione delle figure sociali più
fragili e deboli, in un contesto di aggravamento della condizione sociale.
Immigrazione – insieme al primo punto, è un altro marchio di
infamia. L’immigrazione è considerato un fenomeno “insostenibile” per l’Italia.
Si prevede il superamento in senso peggiorativo degli accordi di Dublino, al
fine di riallocare gli immigrati quanto più è possibile in altri paesi europei.
Si prevede altresì di rivedere le missioni comunitarie nel Mediterraneo allo
scopo di ridurre “l’approdo delle navi utilizzate per l’operazione nei nostri
porti nazionali” e, quindi, la “pressione dei flussi”. Si confermano gli
accordi con i paesi terzi, come la Libia, nei quali dovrebbe avvenire
l’ammissibilità delle domande di asilo e protezione internazionale, con
l’immancabile foglia di fico della “piena tutela dei diritti umani”. È prevista
l’accelerazione della procedura sui rimpatri, che è evidentemente considerata
prioritaria, con l’istituzione di nuovi CIE, gestiti dalle Regioni, in cui
mantenere una vera e propria detenzione fino a un massimo di diciotto mesi. Di
fatto una carcerazione (malamente) mascherata. Succulenta anche la disposizione
secondo cui le prediche religiose (con un riferimento prevalente al culto
islamico…) dovranno essere svolte in lingua italiana… Il soggetto immigrato
viene quindi considerato e trattato come un pericolo, alla meglio come un
ospite indesiderato di cui disfarsi il prima possibile. Ben si comprende che
queste misure farebbero aumentare ancor di più il numero di vittime nel
Mediterraneo e peggiorerebbe ulteriormente le condizioni di vita delle
immigrate e degli immigrati nel paese.
Difesa – è prevista una ridefinizione delle missioni
all’estero. Questo NON ha nulla che vedere con la pace, ma è semplicemente una
misura di razionalizzazione nella dislocazione dei contingenti italiani
all’estero per meglio difendere gli “interessi nazionali”, cioè, in particolare
gli interessi delle grandi multinazionali dell’energia, delle telecomunicazioni
e dei servizi per le quali, non a caso, si prevede anche un rafforzamento della
presenza pubblica nelle azioni tramite Cassa depositi e prestiti. A sua volta,
ciò NON ha nulla a che fare con le nazionalizzazioni, ma è un modo di difendere
gli interessi strategici dello Stato italiano nella competizione
internazionale. Altro punto decisivo, collegato strettamente alla difesa degli
interessi strategici dello Stato italiano, è la piena tutela dell’industria
nazionale della difesa con la progettazione di navi, aeromobili e sistemi
hi-tech.
Fisco/Lavoro/Pensioni – la flat tax con aliquota unica per
le persone fisiche non è, in buona sostanza, confermata, ma lo è una forte
riduzione della (già magra) progressività fiscale. Due aliquote IRPEF, al 15% e
al 20%, comprese le partite IVA e una sola aliquota, del 15%, per le società. È
prevista anche una “no-tax area” per i redditi bassi (non si capisce però
quanto bassi…). È evidente che i redditi medio-alti, soprattutto quelli verso
la parte più alta dello spettro, saranno fortemente avvantaggiati, per non
parlare delle imprese, mentre i lavoratori e le lavoratrici saranno
proporzionalmente ulteriormente penalizzati. Per quanto riguarda il mitico
reddito di cittadinanza, è fissato in una cifra di 780 euro mensili, ma la
condizionalità è molto forte: la misura è orientata al reinserimento
lavorativo, con l’obbligo di accettare oltre la quarta proposta lavorativa
purchessia, pena il decadimento del beneficio, ed è subordinata alla riforma
dei Centri per l’Impiego. Ciò vuol dire che la misura è analoga a quella di
altri sistemi in vigore in alcuni paesi dell’UE, in cui le (magre) misure di
sostegno al reddito, sono esclusivamente finalizzate al disciplinamento della
forza-lavoro e dell’esercito industriale di riserva. Il Job’s Act è
semplicemente riconfermato e, anzi, è prevista la reintroduzione dei voucher.
Sul piano delle pensioni, non c’è alcuna abrogazione della Fornero, ma un
semplice “stop”, con la regola dei 100, cioè la somma aritmetica dell’età
anagrafica e l’età dei contributi (in un contesto in cui sarà sempre più
difficile maturare i contributi necessari, data la sottoccupazione strutturale
di massa, o disoccupazione mascherata). Particolarmente interessante è
menzionare la prevista istituzione di una Banca degli investimenti, intesa
essere uno strumento di sostegno alle PMI (che sono l’hard-core della base
sociale della Lega e del M5S), per l’internazionalizzazione, a beneficio della
competitività azienda nell’ambito di filiere transazionali di valore, fortemente
integrate e soggette a un enorme pressione competitiva. È prevista inoltre la
costituzione di un fondo di garanzia per le PMI atto a favorire il risparmio
patrimoniale adeguato a sostenere i sempre più stringenti requisiti per il
credito. (Regole di Basilea, I, II ,III e IV).
Non entriamo nel dettaglio delle proposte su Unione Europea
e debito, anche perché sono molto vaghe e prevedono un generico impegno alla
creazione di strumenti per la riduzione dello stock del debito pubblico, un
ricorso “appropriato” al deficit e una riforma della governance europea. È
evidente, però, che si tratti di un ammorbidimento delle proposte effettuate in
campagna elettorale, per l’esigenza di contemperare la difesa degli interessi
della base sociale di riferimento con quelli della media e grande borghesia
nazionale (con proiezione internazionale), che non vede di buon occhio
deviazioni eccessive da regole contabili e di bilancio adatte a difendere il
quadro complessivo dei suoi interessi (e non come semplice diktat dell’UE).
D’altro canto, la cifra di fondo del programma giallo-verde è una continuazione
delle politiche di austerità (sociale) con altri mezzi che non con il
neoliberismo classico. In effetti, le stesse radici sociali piccolo-borghesi
spingono a una configurazione neo-protezionista e neo-nazionalista, entro i
limiti in cui politiche sovraniste sono oggettivamente possibili, nel quadro
del capitalismo a dominanza finanziaria. Lega e M5S si trovano quindi in una
posizione decisamente scomoda, date le loro caratteristiche, ed è quindi
prevedibile che questo nuovo governo sarà sottoposto a tensioni anche rilevanti
nel medio periodo.
Da punto di vista sociale e politico assisteremo a una nuova
riduzione dei diritti democratici, un’ulteriore stretta autoritaria e
patriarcale, una spinta ulteriore all’individualizzazione e alla rottura dei
cosiddetti “corpi intermedi” in direzione dell’approfondimento della
corporativizzazione, un ulteriore peggioramento delle condizioni salariali e di
lavoro di settori importanti del proletariato, con una particolare
recrudescenza sul mondo del lavoro immigrato (in particolare nelle fabbriche
del Centronord e nelle campagne meridionali). Il giudizio su questi due partiti
e su ciò che rappresentano non può che essere dunque una stroncatura senza
appello. Così come il giudizio è altrettanto duro sulle capacità del loro
personale politico, la cui mediocrità è pareggiata soltanto dalla ferocia
antioperaia e contro i più deboli, i subalterni, gli inermi.
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