venerdì 1 giugno 2018

2 giugno, Festa dell'Italia Repubblicana e Antifascista


1 commento:

Sinistra a Gussago ha detto...

Anche quest’anno, il 2 giugno, la nostra Repubblica si è autocelebrata con una sfilata militare e, dunque, con un tripudio di armi, divise e bandiere. Benché nel suo atto di nascita ci sia scritto che «l’Italia ripudia la guerra». La pace è l’architrave di una politica giusta. Eppure non sempre siamo consapevoli di questa verità, anzi è diffusa la convinzione che la guerra sia una cosa di altri. Anche se le armi con cui le battaglie vengono combattute sono costruite in fabbriche italiane e molte basi da cui partono aerei impiegati in bombardamenti più o meno intelligenti stanno sul nostro territorio. Anche se contingenti militari italiani sono impegnati, in Asia e in Africa, in operazioni belliche che solo una truffa delle etichette consente di chiamare “missioni di pace”. Anche se gli effetti delle guerre, vicine e lontane, si materializzano ogni giorno in Europa nell’arrivo dolente di rifugiati e bambini in fuga e nelle gesta del terrorismo internazionale. Anche se di gran parte delle guerre in corso, tollerate o propiziate dalla comunità internazionale, siamo comunque co-protagonisti in quanto partecipi di quella comunità. E tuttavia, non vedendo le case distrutte e non sentendo le sirene che annunciano i bombardamenti ci illudiamo (preferiamo illuderci) che la guerra non esista. Anche se, attualmente, essa tocca in modo diretto nel mondo quasi 50 Paesi. Ma la pace non si esaurisce nella (pur necessaria) mancanza di guerra. Senza giustizia sociale non c’è pace: è l’abisso della disuguaglianza tra le persone e tra i popoli la causa profonda delle guerre. E queste sono, essenzialmente, stragi di poveri, come dimostrano le immagini televisive dei conflitti di oggi e le lapidi affisse in tutti i nostri comuni a memoria dei conflitti di ieri. In un mondo dominato dal profitto le guerre, anche quando non esplodono, covano sotto la cenere. E a fronte delle motivazioni economiche, quelle politiche, religiose, tribali sono soltanto ragioni aggiuntive (quando non pure apparenze). La costruzione di una pace vera e duratura richiede un cambiamento profondo: di cultura e di comportamenti. Anche con gesti di disobbedienza. Le industrie italiane – come si è detto – inondano di armi il mondo, comprese le aree di guerra, e il leitmotiv dei più, anche di ampi settori sindacali, è che in tempi di crisi occupazionale non si può andare troppo per il sottile e disquisire sul tipo di produzione. Non è sempre stato così, come ci ricorda un precedente del lontano 1970, quando, il 24 settembre, i cinquecento operai e impiegati delle Officine Moncenisio, nella bassa Valsusa, al termine di una lunga assemblea e «dopo due/tre minuti di silenzio irreale» (come ricorda un testimone) approvarono all’unanimità una mozione contro la produzione di armi, chiedendo all’azienda di non accettare più commesse con finalità belliche. A dimostrazione che il lavoro e le scelte etiche e politiche non sono necessariamente destinate a entrare in conflitto.