sabato 3 gennaio 2015
I decreti attuativi iniziano a svelare le reali finalità del Jobs Act
Era lecito domandarsi a che servisse togliere la tutela
dell'articolo 18 a tutti i nuovi assunti, quando non si creano nuovi posti di
lavoro e la disoccupazione aumenta.
Il decreto natalizio del governo Renzi supera questa
contraddizione. Senza che se ne fosse minimamente accennato nella discussione
parlamentare sulla legge delega, il testo sfrutta al massimo l'incostituzionale
mandato in bianco imposto col voto di fiducia e estende la franchigia anche al
mancato rispetto delle regole sui licenziamenti collettivi. La legge 223,
infatti, ha recepito principi e regole in vigore in tutti i paesi industriali
più avanzati e sostenute con forza da tutte le organizzazioni internazionali,
Onu in testa, e da oltre venti anni disciplina i licenziamenti collettivi per
crisi, stabilendo criteri e regole nel loro esercizio. Ad esempio essa applica
un concetto principe del diritto del lavoro degli USA, la "seniority list".
Se proprio si deve licenziare si parte dagli ultimi arrivati, dai più giovani,
da coloro che non hanno carichi familiari e si risale verso le madri e gli
anziani capi di famiglia. In vetta a quella lista, nelle aziende Usa
sindacalizzate, stanno addirittura i rappresentanti dei lavoratori. In Italia
non siamo così rigidi, ma il senso della regola è lo stesso. La 223 stabilisce
che solo con un accordo sindacale controfirmato da una pubblica autorità si
possa derogare ai criteri dell'anzianità e dei carichi familiari. Così son
state definite con le aziende, da ultimo con Meridiana, le uscite dei più anziani,
in grado di raggiungere la pensione con la indennità di mobilità. Se un'azienda
prima del decreto Renzi avesse voluto fare licenziamenti indiscriminati di
massa, avrebbe subìto un doppio danno. Avrebbe dovuto pagare consistenti penali
e avrebbe rischiato la reintegra da parte di un giudice di tutti i dipendenti
licenziati senza il rispetto di regole e procedure. Questo vincolo ha frenato i
licenziamenti di massa, anche in una crisi senza precedenti come quella
attuale. Ora viene tolto e le aziende potranno
liberamente sbarazzarsi, per
crisi e ragioni economiche, di lavoratrici e lavoratori che hanno
l'articolo 18 e sostituirli con dipendenti precari a vita, pagati molto meno e
per la cui assunzione riceveranno anche un consistente finanziamento pubblico.
La portata reazionaria di questo decreto mostra tutta la
malafede di un governo che sa perfettamente che la liberalizzazione dei
licenziamenti non ha mai prodotto né mai produrrà un solo posto di lavoro
aggiuntivo a quelli esistenti. Nessuno assume in più se non ha lavoro in più da
far fare. Ma se viene offerta la possibilità di realizzare, a condizioni più
che favorevoli, quello che le imprese chiamano il ricambio organico del
personale, perché rifiutarla? Questo è lo scopo vero del Jobact : un gigantesco scambio di manodopera
tra chi ha più e chi ha meno diritti e salario. Come più di cento anni fa,
quando i braccianti venivano cacciati dalla terra che avevano coltivato, perché
agrari e baroni reclutavano gente più povera disposta a subire condizioni
peggiori. Non solo il Jobact non fa nulla contro la disoccupazione, ma anzi
proprio per funzionare ha bisogno di una massa ricattabile di senza lavoro,
senza i quali le sue norme resterebbero lettera morta. Alla fine l'occupazione complessiva sarà ancora
minore, come già sapientemente prevede la Confindustria, ma quella rimasta
somiglierà molto di più a quella che lavora oggi in Cina rispetto a quella che
aveva conquistato diritti e dignità in Italia. Le imprese rimaste festeggeranno
per i maggiori profitti, mentre il lavoro sarà sottoposto alla schiavitù di un
Medio Evo tecnologico.
A questo punto non serve aggiungere altre parole. Ogni atto
del governo Renzi rappresenta una coerente azione di restaurazione sociale. Non
si colpisce solo il lavoro, ma la scuola, la sanità, i servizi pubblici, mentre
si rafforzano le spese militari. Quando s’interviene, come all'Ilva, lo si fa
per permettere alle multinazionali cui verrà ceduta di risparmiare i costi del
risanamento e degli investimenti. Tutte le riforme politiche proposte
stravolgono principi e libertà costituzionali.
Ma a questo punto non serve a niente continuare a
rimproverare a Renzi e a Giorgio Napolitano, il quale ne è il primo sostegno,
di fare quello che dichiarano di voler fare. Il governo Renzi è la
personalizzazione della distruzione della Costituzione Repubblicana, è nato e
opera per questo. Rappresenta una classe dirigente italiana che ha deciso che
il sistema sociale e democratico del dopoguerra non possa più essere mantenuto
di fronte ai vincoli della Troika e della finanza globale.
O si contestano quei vincoli, euro compreso, o s’insegue il modello del
capitalismo selvaggio senza vincoli. Renzi e Napolitano hanno scelto di essere
fino in fondo fedeli esecutori di quei vincoli, per questo oggi son avversari
di tutto ciò che nella storia italiana ha significato progresso sociale e
democratico. Renzi e Napolitano hanno scelto e chi si oppone a questa loro
scelta deve essere altrettanto intransigente e rigoroso. Altrimenti la coerenza
reazionaria del governo sarà la sola devastante forza in campo.
Giorgio Cremaschi
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