domenica 14 maggio 2017
Elezioni presidenziali francesi: opinioni a confronto
La fascista non ha vinto. Ma il sonno della memoria produce mostri
di Paolo Flores d'Arcais
L’orrore è stato evitato, il candidato fascista non salirà i gradini dell’Eliseo. Un grande sospiro di sollievo dunque, ma da entusiasmarsi c’è poco. Se nel cuore storico della democrazia europea, la Francia di “liberté, égalité, fraternité” che deve la legittimità delle sue istituzioni ai sanculotti del 1789 e ai resistenti del maquis e del governo in esilio contro il tradimento di Vichy, il candidato di un partito intasato di negazionisti in nostalgia di Petain e di cattolici vandeani, prende un terzo dei consensi, sarebbe più serio mantenere un certo timore, oltre che qualche oncia di vergogna. E capire come sia stato possibile arrivare a tanto, andando alle radici per poter reagire. Prima che sia troppo tardi.
Perché è già molto tardi. Lo dice la noncuranza di massa (e anche di élite) che ha minimizzato o negato, in realtà rimosso, il carattere fascista del partito Fn, nella continuità tra Le Pen padre, figlia e nipotina Marion. E che ancor più lo farà, ora che “Marine la Patriota” cercherà di accreditarsi tale addirittura “rifondando” con nuovo nome e nuovi apporti il Fn.
Noncuranza che si lascia imbambolare da qualche frase ad effetto, belletto e botulino ideologici, e sarebbe il meno, ma che si radica soprattutto per affatturazione della sirena sociale e collasso dello spessore storico, massime nella generazioni più giovani. Circolano massicciamente posizioni del tipo “il nazi-fascismo - salvo frange minoritarie di nostalgiche macchiette - è un fenomeno del secolo scorso”, oggi esistono solo “destre sociali”, “il revisionismo storico è una posizione culturale, all’operaio che vede ridursi i suoi diritti non importa niente di cosa Le Pen pensi di Giulio Cesare”.
Destra sociale? I fascismi si sono sempre dichiarati sociali, dalla parte dei lavoratori e dei disoccupati. Hitler aveva chiamato il suo partito “nazional-socialista” (nazismo è la contrazione). Abbindolate le masse, hanno sistematicamente e regolarmente distrutto ogni organizzazione di lavoratori, intrecciato valzer e amorosi sensi con i più biechi poteri finanziari e industriali, distrutto ogni possibilità legale di lotta per i non privilegiati.
È evidente e sacrosanto che prima viene la pancia piena e poi la morale (citazioni di Brecht a bizzeffe, volendo), e che anzi il grande capitale e la grande finanza, quando messi alle strette, tra un’avanzata democratica di oppressi ed emarginati e la soluzione fascista hanno troppo spesso preferito quest’ultima. E allora? E’ un buon motivo per fare harakiri e immaginare che il DNA della Resistenza antifascista non sia più necessario? La pancia vuota che si lascia affatturare da un fascista resterà vuota, e non potrà neppure lottare, se non a rischio di carcere tortura e vita.
Ma ogni generazione sente il prepotente bisogno di ripetere gli errori delle generazioni precedenti. Anche Mussolini, e Hitler, e i loro scherani, a molte personalità e persone comuni dell’epoca apparivano delle “macchiette”: in pochi anni hanno ridotto l’Europa in macerie e fame.
Oggi queste consapevolezza storica minima si è perduta, e il sonno della memoria, come quello della ragione, produce mostri. Purtroppo, in Francia, come in Italia, come in Europa tutta, si sconta un peccato originale, non aver dato vita nel dopoguerra alla necessaria epurazione antifascista in tutti gli apparati dello Stato (ma anche nel giornalismo e nella cultura). Non aver realizzato quella damnatio memoriae tassativamente ineludibile, che non garantisce contro ritorni di fascismo (la pulsione di servitù volontaria possiede circuiti neuronal-ormonali più antichi e radicati di quelli illuministico-democratici, ahimè), ma ne riduce le probabilità per il possibile.
Invece, nei decenni, con lenta ma infine inesorabile crescita, si è tollerato che partiti e movimenti fascisti si ricostruissero, si legittimassero per partecipazione elettorale, divenissero per mitridatizzazione parte del panorama ordinario del nostro habitat politico e sociale.
È stata questa l’altra faccia di una politica di establishment che per guerra fredda prima e liberismo selvaggio poi ha impedito che venissero realizzate nelle leggi e nella pratica di governo le solenni promesse contenute nelle Costituzioni nate dalla vittoria contro i fascismi.
In Italia fu chiaro da quasi subito, purtroppo. Il 2 giugno 1951 Piero Calamandrei, che della Costituente era stato uno dei massimi protagonisti, già doveva stigmatizzare che mentre nella Costituzione “è scritta a chiare lettere la condanna dell’ordinamento sociale in cui viviamo”, la politica del governo andava in direzione opposta, e il vero nome della festa della Repubblica era perciò “La festa dell’Incompiuta”.
E rivolgendosi ai giovani nel 1955, a Milano, ribadiva: “La nostra Costituzione è in parte una realtà, ma solo in parte. In parte è ancora un programma, un ideale, una speranza, un impegno di lavoro da compiere”. In Italia, come in Francia, come in Europa, siamo più che mai a questo, e la convinzione ormai dilagante che i fascismi siano lontani dal nostro orizzonte possibile quanto Giulio Cesare, fornisce ai reazionari e conservatori un’ulteriore arma di narcolessia di massa.
Macron non è la soluzione, a meno che da Presidente non diventi un Macron inedito, perché la finanza (e più in generale la politica economica) liberista è il motore della crisi sociale e della deriva politica che, per hybris di diseguaglianze, infesta e mina le democrazie. Rispetto ai lepenismi (in Europa si sono ormai moltiplicati sotto le più diverse e accattivanti fogge, ma sempre humus fascista veicolano), la vittoria di Macron potrebbe confermarsi solo il laccio emostatico che tampona l’emorragia in attesa dell’intervento chirurgico. Ora si tratta di realizzarne gli strumenti, quella sinistra illuminista egualitaria e libertaria oggi purtroppo introvabile in forma politica organizzata, ma diffusa in forma sommersa o carsica nelle società civili di molti paesi d’Europa.
GIORGIO CREMASCHI - Contro le due destre di Macron e Lepen
Non invidio in alcun modo gli elettori francesi per ciò che hanno di fronte con il ballottaggio presidenziale. La grande maggioranza di loro, che ha fatto altre scelte, ora dovrebbe legittimare un sistema elettorale dove si può diventare presidente della repubblica, con enormi poteri, basandosi sul consenso di un votante su cinque e di un elettore su sei. È il sistema truffaldino che hanno bocciato la Corte Costituzionale con la sua sentenza ed il popolo italiano con il suo voto referendario. Ora possiamo ancor meglio comprendere la saggezza di quei pronunciamenti contro il potere assoluto alle minoranze.
Ma non li invidio soprattutto perché sono costretti a scegliere tra due destre. Una la conosciamo meglio, è quella che ci governa in ottemperanza agli ordini della UE, della Troika, della NATO. Ne è interprete puro Il banchiere Macron, candidato di plastica inventato da una gigantesca operazione del regime finanziario mediatico. Macron è pura espressione della destra liberale che distrugge lo stato sociale e i diritti del lavoro, che spende i soldi pubblici per finanziare le banche e le guerre umanitarie, che a parole è per la libertà e l'accoglienza, ma poi fa leggi di polizia feroci all'interno e accordi spietati con tiranni per fermare i migranti all'estero. No non mi turerò il naso per sostenere questo gemello di Matteo Renzi.
Non per questo però si può fare la scelta opportunista di segno opposto e sostenere LePen. Non si batte la destra liberale schierandosi con quella reazionaria. Che oggi promette di chiudere le frontiere ai migranti e alla globalizzazione finanziaria, ma una volta al governo attuerebbe certamente la prima parte del suo programma, ma non la seconda. Trump insegna. A chi crede in una funzione anticapitalista della destra, ricordo che essa è già al governo in diversi paesi dell'Est della UE. E che in quei paesi si fanno muri contro i migranti, ma ci sono frontiere aperte per banche e multinazionali.
Aggiungo anzi che essere riuscito a selezionare un avversario impresentabile, a cui attribuire la voglia di scardinare il sistema, è il maggior successo del regime UE e della finanza globalizzata. L'unico avversario contro cui Matteo Renzi sarebbe sicuro di vincere è Matteo Salvini, onnipresente non caso nelle TV.
Ma il fatto che il sistema politico stia marciando verso un'alternanza da incubo tra due destre non è solo merito del potere che da tempo opera a questo scopo. Il trentennale lavoro di autodissoluzione delle sinistre ha avuto un ruolo decisivo per giungere a questo punto. Siamo tornati all'800, quando le sinistre sociali e di classe erano fuori dal sistema politico, nel quale si poteva solo scegliere tra governi liberali e sanfedisti, entrambi nemici dei diritti del lavoro e fanatici di quello di proprietà.
Una sinistra incapace di dire NO all'euro, alla UE, alla NATO nella Europa di oggi non è in grado di dire e proporre nulla di utile per nessuno, tanto meno per un mondo del lavoro che marcia a tappe forzate verso la schiavitù e per la marea crescente di poveri prodotti dalla disoccupazione di massa e dalla precarietà. La sinistra del capitale è servita in questi trenta anni solo a distruggere le conquiste popolari e del lavoro e ora, come una delle tante aziende pubbliche che ha privatizzato, viene dismessa.
Per questo mi auguro che Melenchon regga alla pressione delle sinistre vendute e suicide, ben interpretate da Tsipras e dal segretario del PCF, e non appoggi il candidato della Borsa, della finanza, della UE targata Germania. Essere fuori e contro l'alternanza tra le due destre è la condizione prima per vivere e tornare ad essere utili.
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