martedì 28 dicembre 2010

Storie di rom e sinti: storie d'Italia e d'italiani


Il partigiano e l’ultimo di Auschwitz

di Dijana Pavlovic

In questi ultimi giorni sono morti Mirko Le­vak, rom kalderash di Marghera, l'ultimo rom sopravvissuto ad Auschwitz, e Amilcare De­bar, detto «Taro», sinto piemontese, staffetta e partigiano combattente (col nome di «Corsaro») nella 48° Brigata Garibaldi «Dante Di Nanni», comandata da Napoleone Colajanni, «Barba­to». È stato ferito nella battaglia delle Langhe. Nel dopoguerra è stato rappresentante del suo popolo alle Nazioni Unite a Ginevra; ha ricevuto il diploma di partigiano combattente dalle mani del Presidente Sandro Pertini.

Queste due figure fanno parte della storia di­menticata di rom e sinti nel nostro Paese.

Mirko Levak testimonia lo sterminio program­mato dai nazisti per il popolo zigano sulla stessa base dello sterminio degli ebrei: il genocidio etni­co, sterminare una razza impura. Due parole, l'Olocausto per gli ebrei, il Porrajmos per i rom e i sinti, indicano lo stesso destino ma non hanno lo stesso riconoscimento e lo stessa significato nella coscienza collettiva.

Il popolo rom e sinto ha subito nei secoli discri­minazioni e persecuzioni come è accaduto agli ebrei e insieme hanno condiviso lo stesso destino nelle camere a gas e nei forni crematori di Au­schwitz. Ma ancora oggi mentre la parola «Olo­causto» esprime la colpa collettiva nei confronti di tutto il popolo ebreo, «Porrajmos» è una parola sconosciuta ai più, esattamente come lo è lo ster­minio razziale degli "zingari".

Amilcare Debar, come il rom istriano Giuseppe Levakovic, che combatté nella «Osoppo», Rubino Bonora, partigiano della Divisione «Nannetti» in Friuli, Walter Catter, fucilato a Vicenza l'11 no­vembre 1944, suo cugino ventenne Giuseppe Cat­ter, fucilato dai brigatisti neri nell'Imperiese, testi­monia la partecipazione di rom e sinti italiani alla guerra di liberazione dai nazifascisti.

Il silenzio che circonda queste storie, anche nel­le ricorrenze ufficiali come la giornata della Me­moria e il XXV Aprile, non solo segna il destino di marginalità che viene assegnato al popolo rom, ma indirettamente contribuisce alla sua emargi­nazione sociale, alla costante discriminazione nei suoi confronti e al ruolo di capro espiatorio per chi fa la propria fortuna elettorale sulla caccia al­lo zingaro. Per queste ragioni, se la memoria del­la nostra storia ci aiuta a essere orgogliosi della nostra identità troppo spesso negata, vogliamo che questa memoria sia occasione e motivo per restituirci la dignità che ancora oggi ci viene nega­ta nel paese dove sono vissuti e morti uomini co­me Mirko e Amilcare.

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