lunedì 2 aprile 2018

Libero mercato? Libero ladrocinio!


La delibera finale dell’Autorità Nazionale Anticorruzione è la numero 172 del 21 febbraio 2018 (vedi http://www.anticorruzione.it/portal/rest/jcr/repository/collaboration/Digital%20Assets/anacdocs/Attivita/Atti/Delibere/2018/del.172.2018.pdf) . Si tratta di 20 pagine con le quali l’Ufficio Vigilanza Servizi e Forniture dell’Anac chiarisce le ragioni della bocciatura dell’operazione di vendita di Lgh ad A2A.
Il documento, nell’ultima sua parte, spiega come la scelta del socio-partner industriale non si possa qualificare come semplice operazione di integrazione o ristrutturazione.
Il documento indica poi come vi potessero essere altri operatori economici potenzialmente interessati all’acquisto delle azioni. L’acquisto del 51% del capitale sociale di Lgh da parte di A2A in forma diretta, cioè senza gara, costituisce una violazione delle disposizioni di legge sulle società miste. Addirittura si poteva avere una maggior valorizzazione delle azioni facendo una gara pubblica. L’Anac punta il dito sui soci di Lgh che avrebbero dovuto svolgere una gara esplorativa e quindi, visto l’elevato importo della compravendita (pari a oltre 113 milioni di euro) pubblicare il bando sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea. Il presidente dell’Autorità, Raffaele Cantone, bocciando la vendita diretta, ha quindi dato mandato di inviare la delibera alle società interessate alla compravendita (tra cui l’Aem Cremona, Lgh e SCS Crema e le altre municipalizzate), all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nonchè alla Procura competente della Corte dei Conti per i provvedimenti del caso.

Eppure, nonostante la pesantissima contestazione mossa dall’Autorità Nazionale Anticorruzione, gli amministratori ed ex amministratori (ed i loro partiti di riferimento, PD sopra ogni altro), i quali votarono a favore dell’operazione di (s)vendita di Lgh ad A2A, continuano imperterriti a sostenere che quella sia stata l'unica scelta in grado di mantenere lavoro e sviluppo.
Insomma, proprio gli alfieri e fautori del mercato hanno violato le regole della concorrenza e le norme dello Stato. E non l'hanno fatto quali cittadini qualunque, ma quali amministratori di Comuni grandi e piccoli.

Certo, parlare di posti di lavoro e sviluppo colpisce di più e induce chi non sia addetto ai lavori a pensare che insomma val bene la pena di fare una trasgressione se il risultato è questo. Ma c'è davvero qualcuno che pensa che i posti di lavoro e lo sviluppo si potevano salvare solo così?

Nel caso di Lgh stiamo parlando di una Società che gestisce servizi quali luce, gas e rifiuti; servizi che non si possono, per fortuna,  de localizzare. Davvero qualcuno può in buona fede ritenere che A2A abbia acquistato LGH per pura beneficienza e non piuttosto per conseguire un'altra fetta di mercato? Chi può fare a meno di luce e gas? A chi non serve il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti?

Noi non siamo per la privatizzazione dei servizi, non vogliamo che i bisogni ed i diritti delle persone diventino occasioni di lucro e di guadagno per pochi.

Al contrario, in Lombardia ed in ogni altra parte del nostro Paese e della Comunità Europea amministratori e governanti di ogni schieramento percorrono pervicacemente la via della privatizzazione totale e completa dei nostri servizi, pure quando ciò si traduca in una plateale violazione delle “regole del gioco”, come la delibera dell'ANAC ha rilevato.

giovedì 22 marzo 2018

Global Action for Afrin!


Solidarietà da #Brescia alla città siriana di #Afrin
Sabato 24 marzo, ore 14.30
Presidio in Piazza della Loggia, Brescia
 


Nel silenzio internazionale di istituzioni e stampa nella Siria del Nord si sta consumando un tremendo genocidio: l'esercito della Turchia del Sultano Erdogan, spalleggiata dalle bande jiadiste del "Free Sirian Army" e membro NATO dal 1945, prosegue la propria guerra contro il popolo curdo e contro tutti i profughi di Siria, Turchia e medioriente che si trovavano ad Afrin al momento dell'attacco, una delle città più popolose della Siria del Nord. Milizie islamiste salafite ed esercito turco, dal 20 gennaio stanno bombardando il Rojava (la Federazione della Siria del nord) massacrando i civili e attaccando i combattenti delle Forze Democratiche Siriane, coloro che hanno combattuto e sconfitto Isis a Kobane e a Raqqa. Con il silenzio-assenso degli alleati occidentali (Ue, Russia e Stati Uniti) Erdogan, insieme a miliziani di Al Qaeda e Daesh, sta aggredendo il Confederalismo democratico, un processo rivoluzionario di democrazia diretta, femminismo ed ecologismo praticato dalle popolazioni della Siria settentrionale, l'unica speranza per una convivenza pacifica tra i popoli in Medio Oriente.
Cosa c'entra l'Italia?

Buona parte degli armamenti che la Turchia sta utilizzando per massacrare la popolazione civile sono prodotti in Italia dal gruppo Leonardo (ex Finmeccanica), azienda a partecipazione statale il cui maggior azionista è il ministero dell'Economia e delle Finanze. Si tratta in particolare degli elicotteri d’attacco T129.
L'Italia è un'importante partner commerciale per la Turchia governata dal regime islamista di Erdogan e del suo partito Akp. Soprattutto per quanto riguarda l'export di armi da guerra: solo nel 2016 il nostro Governo ha fornito armi all'esercito turco per una commessa di 133,4 milioni di euro. In generale, il mercato mediorientale è il più redditizio per l'esportazione di armi italiane per un totale di 8,8 miliardi di euro nel 2016.

Cosa c'entra Brescia?
Una parte di queste armi sono prodotte a Brescia, dalla storica fabbrica Breda (che fa parte del gruppo Leonardo-Finmeccanica). Con un'azione dimostrativa, la scorsa settimana, abbiamo segnalato che la Breda (dunque il gruppo Leonardo, dunque il Governo italiano) è complice del massacro di civili in corso e della sporca guerra che la Turchia sta conducendo contro i popoli della Siria del Nord (come in passato lo è stata di molte, troppe, altre guerre). Lo abbiamo fatto appendendo uno striscione e spargendo della vernice rossa all'ingresso dello stabilimento, a rappresentare il sangue di cui il gruppo Leonardo si sta macchiando. Le armi da guerra che la Breda esporta all'esercito turco e agli eserciti oppressori di tutto il mondo sono una vergogna per la nostra città.

Cosa possiamo fare noi?

Il silenzio è complice! La solidarietà internazionale un'arma!
Ci vediamo questo sabato 24 marzo in piazza Loggia a Brescia per mostrare anche noi che non siamo indifferenti al massacro di un popolo e dei profughi che si trovano al momento in una delle terre più massacrate dalle pretese dei potenti della Terra!

Stop TTIP / Stop CETA

CETA: inizia la discussione del comitato segreto che può indebolire le norme su pesticidi e qualità del cibo.
I nuovi parlamentari italiani e gli eurodeputati chiedano trasparenza.
La Campagna Stop TTIP/Stop CETA pubblica documento interno dell'UE con l’agenda dei lavori e lancia un appello: “La prossima settimana a Ottawa i nostri diritti saranno messi in discussione da un comitato tecnico non trasparente. I nuovi parlamentari intervengano subito".

ROMA, 21 marzo 2018 – Negare o autorizzare l'utilizzo di alcuni fungicidi, rimettere in discussione i veti nazionali sul glifosato, armonizzare le regole che consentono di importare o esportare alimenti tra Canada e Unione Europea. E il tutto senza il controllo dei Parlamenti, diretta espressione delle cittadine e dei cittadini europei. Accadrà tra pochi giorni, il 26 e il 27 marzo a Ottawa, quando si terrà la prima riunione del Comitato congiunto sulle misure sanitarie e fitosanitarie creato dal CETA, l'accordo di libero scambio concluso tra Unione Europea e Canada e in via di ratifica nei Parlamenti degli Stati membri, Italia compresa. Un comitato composto da rappresentanti della Commissione Europea, del Governo canadese, delle imprese e degli enti regolatori, senza alcuna traccia di organismi eletti.

Per denunciare la scarsa trasparenza di questi meccanismi, la campagna StopTTIP/StopCETA pubblica un documento ad accesso ristretto (“Limided”) trapelato dagli uffici della DG Sante della Commissione UE, che reca l’agenda del meeting a porte chiuse in programma lunedì e martedì prossimo.

Tra i temi all'ordine del giorno ve ne sono molti di stretto interesse per i cittadini e per i produttori agricoli, che però verranno trattati in segreto e fuori dal controllo diretto dei Parlamenti o della società civile. I tecnici europei e canadesi, insieme ai rappresentanti del settore privato, si scambieranno informazioni sulle nuove leggi che riguardano la salute animale e delle piante, così come sulle ispezioni e sui controlli. Discuteranno anche di linee guida che determineranno l’equivalenza tra prodotti europei e nordamericani, così come dell’impatto sulle importazioni causato dai limiti per le sostanze chimiche. All’ordine del giorno c’è poi il mancato rinnovo da parte dell’UE per i prodotti contenenti Picoxystrobin, un fungicida considerato altamente rischioso per animali terrestri e acquatici. Non basta: verranno prese in esame le differenze tra le misure europee sul glifosato e quelle nazionale. Dopo il rinnovo dell’autorizzazione per altri 5 anni da parte della Commissione Europea, infatti, alcuni Paesi hanno deciso, entro i loro confini, di varare norme più stringenti per l’uso di questo diserbante, accusato di essere probabilmente cancerogeno per l’uomo. Regole più dure, in definitiva, sono viste come un problema per il libero commercio, anche se tutelano consumatori ed ecosistemi. Toccherà al comitato tecnico capire come superare l’ostacolo del principio di precauzione. Stesso discorso per il commercio di animali vivi e carni, con la richiesta dei nordamericani di semplificare la certificazione dei loro prodotti.

"Il rischio che abbiamo preannunciato in questi anni di mobilitazione alla fine si realizza", sottolinea Monica Di Sisto, portavoce della Campagna italiana StopTTIP/StopCETA, piattaforma che coordina più di 200 organizzazioni nazionali e 50 comitati locali. Il CETA, nonostante si sia riusciti a fermarne finora la ratifica almeno in Italia grazie a una potente campagna di pressione insieme a organizzazioni come Coldiretti, CGIL , Arci, Arcs, Ari, Assobotteghe, Attac, CGIL, Fairwatch, Greenpeace, Legambiente, Movimento Consumatori, Navdanya International, Slowfood, Terra! e Transform, comincia ad attivare le sue commissioni tecniche inaccessibili a cittadini e eletti.

“In una di esse, convocata a Ottawa il 26 marzo, si comincia a discutere della modifica di standard e regolamentazioni che difendono i nostri diritti a spese del commercio”, prosegue Di Sisto. “Come si può  leggere chiaramente dal documento ottenuto dalla Campagna StopTTIP/StopCETA, si delega a un gruppo di presunti portatori di interessi ed esperti, scelti non si sa come, il confronto su come armonizzare, abbassare, cancellare standard e regole inerenti la qualità dei prodotti alimentari o l'utilizzo di sostanze chimiche come i fungicidi. Un'ulteriore deriva che allontana le scelte più delicate e impattanti dagli occhi scomodi dei cittadini, nonostante siano proprio questi ultimi a subirne le eventuali conseguenze”.
 

Per questo, la Campagna Stop TTIP/Stop CETA lancia due richieste urgenti:
  •  la prima ai parlamentari europei più impegnati, perché convochino la Commissione UE in audizione chiedendo spiegazioni sui contenuti di questo incontro e la piena trasparenza degli argomenti trattati;
 
  • la seconda ai neoeletti parlamentari italiani, che prenderanno posto nelle Camere rinnovate il 23 di marzo. Molti di loro hanno firmato il decalogo "#NoCETA - #Nontratto", per la costituzione di un gruppo interparlamentare Stop CETA. Ora esercitino il diritto al controllo in nome e per conto degli italiani, chiedendo conto al Governo ancora in carica e al Ministero dell'Agricoltura di quali indicazioni, richieste ed eventuali veti si è fatto interprete davanti alla Commissione Europea.

Che il loro intervento sia improrogabile lo dimostra il capitolo sui pesticidi dell'ultimo rapporto "Il CETA minaccia gli stati membri dell'UE", pubblicato pochi giorni fa dal centro di studi legali ambientali europeo CIEL (Center for International Environmental Law). Secondo lo studio*, infatti, l'applicazione dell'accordo porterà a una progressiva fluidificazione degli scambi commerciali in agricoltura, attraverso l'armonizzazione o la cancellazione di regole, molte delle quali a protezione dei consumatori e dell'ambiente. Uno scenario che, senza un controllo diretto da parte degli organismi eletti, rischia di diventare realtà.

Contro questa marginalizzazione dal processo decisionale e contro i rischi del CETA si sono schierate gran parte delle forze politiche che entreranno in Parlamento il 23 marzo. La richiesta di una loro immediata attivazione viene anche da tanti territori.

A Genova fu TORTURA

dalla redazione del periodico "Altreconomia":

Un appello a sostegno del pm Enrico Zucca

Alla Diaz, così come a Bolzaneto, fu tortura. L’ha sentenziato la Corte europea dei diritti dell’uomo, più volte. La “colpa” del sostituto procuratore generale presso la Corte di appello di Genova è di ricordare che le prescrizioni della Corte di Strasburgo sono state disattese

Da tempo ci occupiamo a vario titolo della tortura praticata in Italia e delle risposte offerte dallo Stato e perciò crediamo che Enrico Zucca, nel suo intervento di ieri a un convegno a Genova, abbia espresso una verità che ci trova pienamente concordi. La risposta delle istituzioni alle torture compiute su decine e decine di persone nelle giornate del G8 di Genova del 2001 è stata gravemente inadeguata e ha tradito largamente lo spirito e la lettera delle sentenze di condanna contro l’Italia inflitte dalla Corte europea per i diritti umani per i casi Diaz e Bolzaneto.

Sono state disattese sia le indicazioni sulle misure necessarie a prevenire nuovi abusi (vedi la contorta e inapplicabile legge dell’estate scorsa e la mancata introduzione dei codici di riconoscimento sulle divise), sia le prescrizioni circa la necessaria rimozione dei funzionari condannati in via definitiva (abbiamo invece avuto protezioni, promozioni, inopinati ritorni al vertice). Solo rispettando simili indicazioni è possibile tutelare la dignità e credibilità delle forze di polizia, sia sul piano interno sia su quello internazionale. Enrico Zucca ha detto una semplice quanto sacrosanta verità, che sottoscriviamo.
Il poliziotto delle molotov alla Diaz del G8 di Genova, Pietro Troiani, – dopo la condanna e il rientro in servizio – fa un balzo in carriera: sarà il dirigente del Centro operativo autostradale di Roma che ha competenza su tutto il Lazio. Il principale d’Italia.
… È soltanto l’ultimo caso. Prima era toccato a Gilberto Caldarozzi (condannato a 3 anni e 8 mesi per falso), il braccio destro di Gianni De Gennaro (capo della polizia ai tempi del G8) destinato a diventare numero due della Direzione investigativa antimafia. Caldarozzi è stato poi assunto in Finmeccanica, società controllata dallo Stato e presieduta all’epoca proprio da De Gennaro.
Le carriere non avevano subito stop neanche durante i processi: Francesco Gratteri era diventato capo della Direzione centrale anticrimine; Giovanni Luperi capo-analista dell’Aisi (il servizio segreto interno). Filippo Ferri guidava la squadra mobile di Firenze; Fabio Ciccimarra era capo della squadra mobile de L’Aquila e Spartaco Mortola capo della polfer di Torino.

Giornata Mondiale dell'Acqua


In occasione della Giornata Mondiale dell'Acqua ci teniamo a evidenziare gli elementi critici e i nodi da sciogliere per giungere finalmente ad una reale tutela dell'acqua e ad una sua gestione pubblica e partecipativa.

Nel Giugno 2011 abbiamo votato e vinto il referendum contro le privatizzazioni e il profitto sull’acqua. Da allora sono cambiati 5 governi e tutti hanno ignorato e contraddetto la volontà popolare favorendo la privatizzazione del servizio idrico e degli altri servizi pubblici locali, reinserendo in tariffa il profitto garantito ai gestori e promuovendo fusioni e aggregazioni con le 4 mega-multiutility: A2A, Iren, Hera e Acea.

Inoltre, la crisi idrica, aggravata dal surriscaldamento globale e dai relativi cambiamenti climatici, ha fatto emergere le responsabilità di una gestione privata che risparmia sugli investimenti infrastrutturali per massimizzare i profitti. Il mercato ignora le conseguenze su ambiente, salute e qualità dell'acqua. Per questo chiediamo una strategia di prevenzione e precauzione.

Denunciamo ancora una volta le scelte tariffarie esose e antipopolari dell'ARERA, la violazione referendaria del nuovo metodo tariffario il quale, tra l'altro, permette che gli utili siano sottratti agli investimenti per distribuirli invece come dividendi agli azionisti pubblici e privati. ARERA ha poi avallato l’esproprio di milioni di euro, attuato con l’addebito sulla bolletta dell'acqua di un illegittimo “conguaglio ante 2012”. Per queste ragioni ne chiediamo lo scioglimento, tornando alla competenza del Ministero dell’Ambiente.

Proponiamo nuovi processi decisionali, una democrazia partecipativa, per reagire a appropriazioni private di un bene comune vitale e a gestioni pubbliche estranee agli interessi sociali.

Ribadiamo che oggi più di ieri è necessaria una radicale inversione di tendenza ed è sempre più importante riaffermare il valore paradigmatico dell'acqua come bene comune, ribadendo che: l'acqua è un diritto umano universale e fondamentale ed è la risorsa fondamentale per l'equilibrio degli ecosistemi; l'acqua è un obiettivo strategico mondiale di scontro con il sistema capitalistico-finanziario; la gestione partecipativa delle comunità locali è un modello sociale alternativo; è necessario giungere ad un sistema di finanziamento basato sulla fiscalità generale e su un meccanismo tariffario equo, non volto al profitto e che garantisca gli investimenti.

In Italia la solidarietà è diventata un reato


Migranti. Caso ProActiva Open Arms, i giuristi: "Accuse gravi e infondate"
Le associazioni alzano la voce dopo il sequestro, domenica sera, della nave spagnola. Arci: “Ennesimo tentativo di introdurre il delitto di solidarietà”. Asgi: “Affidare migranti ai libici equivale a un respingimento”. Adif: "Navi umanitarie sempre più isolate"

ROMA - Il reato ipotizzato è di associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Un’accusa formalizzata ieri sera,  quando la nave dell’ong “Proactiva Open Arms”, ormeggiata nel porto di Pozzallo è stata posta sotto sequestro, dopo aver portato in salvo in Italia 218 persone.

Il caso relativo all’ong spagnola era scoppiato già venerdì per un soccorso conteso in acque internazionali tra la nave Open Arms e la guardia costiera libica. Secondo l’ong la motovedetta libica avrebbe minacciato di aprire il fuoco sui membri dell’equipaggio, rei di non voler consegnare a loro le donne e i bambini, soccorsi da un gommone. “Non avremmo mai permesso a nessuno di restituirli all'inferno”, ha detto il team leader della ong, Oscar Camps, una volta arrivato a destinazione. Ma questo non è bastato, il procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro ha mosso per l’ong spagnola un’accusa pesantissima. “E’ ancora solo un'ipotesi di reato, ma siamo accusati di associazione criminale e di promuovere l'immigrazione illegale per aver disobbedito ai libici, non dando loro donne e bambini - ha sottolineato Camps -. Proteggere la vita umana in mare dovrebbe essere la priorità assoluta di qualsiasi corpo civile o militare, perché lo stabilisce il diritto del mare. Non si può impedire il salvataggio di vite in alto mare per restituirle ad un paese non sicuro, come è la Libia, contravvenendo allo statuto dei rifugiati dell'Onu. I loro diritti sono anche i nostri – aggiunge - La nostra massima priorità è e sarà sempre la tutela e la difesa dei diritti umani in mare”.

E’ la prima volta che un’accusa così grave viene mossa nel campo del soccorso in mare. Per Salvatore Fachile, avvocato dell’associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), “il fatto che la nave non abbia voluto consegnare le persone ai libici e che, dopo il soccorso, abbia deciso di sbarcare in Italia piuttosto che a Malta, non può giustificare in ogni caso l’accusa di associazione a delinquere per immigrazione clandestina. A parere di tutti i giuristi è una bestemmia. Non c’è nessun collegamento rispetto alla  fattispecie penale. …”. Secondo l’avvocato Asgi, è più realistico pensare che “si stia alzando il tiro, forse nella speranza di un rinnovato clima incriminatorio verso le ong”. Il problema – aggiunge - è che “si muovono accuse ma poi i processi non si fanno. Nessun pm metterebbe mano a un processo di questo tipo perché sa che sarebbe una sconfitta pubblica. Quindi cosa si fa? Si aziona in via unilaterale l’azione penale, la risonanza pubblica ha un effetto incriminatorio forte, ma poi non si affronta la questione giuridica e giurisdizionale davanti a un tribunale, perché ovviamente se ne esce sconfitti, dal momento che l’accusa è infondata”. Prima di Proactiva Open Arms mesi fa è stata posta sotto sequestro la nave dell'ong tedesca Juggend Rettet: “si urlava all'urgenza assoluta di un processo, tale da portare i pubblici ministeri a parlare in pubblico, ma non mi sembra che sia stato chiesto il rinvio a giudizio: azione che consente di dire che le indagini sono state chiuse e ci sono sufficienti prove per la condanna”. L’effetto immediato – denuncia l’avvocato Asgi – è che “l’Europa nei fatti si sta ritirando dal salvataggio in mare, delegandolo alle guardie di una brigata criminale come quella libica. Questo ci reca fortissima preoccupazione anche perché non sappiamo quale sarà il nuovo assetto di governo e che cosa succederà in Libia, ma non è detto che non riprendano massicciamente i viaggi, che saranno dunque sempre più pericolosi dal momento che ci sono meno soggetti a operare il salvataggio”.

In una nota Asgi ribadisce di “attendere l’esito delle indagini che si augura siano doverosamente rapide al fine di evitare l’incessante alimentarsi della macchina del fango sui soccorsi”. Intanto, in attesa di conoscere nel dettaglio tutti gli elementi che hanno portato al sequestro della nave Open Arms, sul piano giuridico evidenzia che  tanto le norme in materia di soccorso alle persone in mare quanto quelle relative al contrasto alla tratta di esseri umani impongono agli Stati il rispetto degli obblighi derivanti dal diritto internazionale in materia di rifugiati, tra i quali il “principio di non respingimento”. Il salvataggio con rinvio in Libia dei migranti che, da detto Paese, stanno fuggendo viola le convenzioni internazionali sul soccorso in mare perché nessun porto libico può attualmente essere considerato “luogo sicuro” ai sensi della Convenzione per la ricerca e il soccorso in mare del 1979 (SAR). “Nessuna delle condizioni richieste dal diritto internazionale marittimo e dal diritto internazionale in materia di asilo può essere soddisfatta in Libia sia in ragione dello stato di guerra civile in cui versa il Paese, sia in ragione della radicale mancanza di qualsiasi possibilità di garantire il rispetto dei diritti umani fondamentali ai cittadini dei Paesi terzi che si trovano in Libia e a coloro che vi vorrebbero chiedere protezione internazionale – spiega Asgi - Nessun rifugiato può ottenere protezione in Libia non sussistendo alcuna norma di diritto interno che lo preveda e tutti i rifugiati, comunque presenti sul territorio libico, sono oggetto di detenzione arbitraria nelle carceri, in condizioni disumane e in generale sono oggetto di violenze sistematiche”. Per l’associazione di giuristi, inoltre, anche in ragione della mancanza di adeguati requisiti per essere riconosciuta dall’International Maritime Organisation (Imo) si deve ritenere che un’area Sar libica non esista e che, dunque, non sussistendo la responsabilità di alcuno Stato sull’area del mar libico a sud di quella maltese e confinante con le acque territoriali della Libia, “la prima centrale Mrcc contattata ha la responsabilità giuridica di attivarsi per salvare le barche dei migranti e dei rifugiati in pericolo e per condurli in un porto sicuro”.

Per Fulvio Vassallo Paleologo, esperto di diritto internazionale, la vicenda ha riconfermato l’isolamento delle navi umanitarie “che ancora si ostinano a soccorrere vite umane in acque internazionali sulla rotta del Mediterraneo”. “Ancora una volta durante una operazione di soccorso in acque internazionali, ben lontano dalle acque territoriali, una motovedetta libica ha cercato di sequestrare persone che erano state già soccorse da un gommone di servizio alla nave umanitaria della Ong spagnola Open Arms, intimando la “restituzione” di donne e minori per ricondurli in un centro di detenzione a Tripoli – scrive sul sito Adif-Associazione diritti e frontiere -. Già lo scorso anno, pochi giorni dopo l’entrata in vigore del “Codice di condotta” imposto da Minniti, ad agosto, i libici avevano aperto il fuoco su un mezzo di soccorso di Open Arms. Adesso arriva anche una ricostruzione dei fatti, proveniente dalla sedicente Guardia costiera libica, e diffusa dal Giornale, che oltre a gettare il consueto fango sulle Ong, sollecitando forse qualche procura ad aprire ulteriori indagini, conferma ancora una volta, dopo diversi episodi precedenti, il grado di coordinamento e la corresponsabilità della Marina militare italiana con i libici, in realtà soltanto con quelle milizie a terra ed a mare che rispondono al governo Serraj”. Per Vassallo, di fatto, “gli italiani avvistano e, piuttosto di intervenire con le doverose attività di soccorso, chiamano i libici per operare quelli che sono veri e propri sequestri di persona in acque internazionali. Poi non interessa a nessuno la sorte delle persone riportate a terra nei centri di detenzione, anzi qualcuno tenta anche di accreditare la voce che sarebbero le Ong, quelle che lo scorso anno si definivano “taxi del mare” e non la Guardia costiera libica, supportata dalla marina italiana (mai così in minuscolo), a mettere in pericolo la vita delle persone. Le prove fornite dai libici ed addotte dal Giornale contro le Ong sono un boomerang contro la marina italiana”.

Anche l’Arci parla di “situazione paradossale e di cinismo dilagante, che trova orecchie sensibili in quei magistrati pronti ad azioni di pura propaganda”. “Si vuole mettere sotto accusa ProActiva Open Arms per una decisione in linea con il diritto internazionale e il diritto alla vita, sapendo bene qual è la sorte riservata a chi viene rispedito nell’inferno di Tripoli - scrive Arci - Una situazione dalla quale si evince che quella procura considera legittima la violenza libica e illegittimo il salvataggio effettuato dalle ong che operano in mare. Ci troviamo di fronte all’ennesimo tentativo di introdurre il ‘delitto di solidarietà’ che risponde alla logica italiana ed europea di esternalizzazione del controllo delle frontiere e delle operazioni in mare ai vicini libici. Dopo aver usato i soldi dei contribuenti italiani ed europei per formarli e equipaggiarli, si cerca di liberare il campo da chi salva vite umane per lasciare in mano i migranti a chi li respinge per delega ricevuta dall’Italia e dall'UE, anche se in flagrante violazione della Convenzione di Ginevra”. Per Arci chiunque cerchi di “bloccare questa deriva delle politiche nostrane cercando di salvare vite umane viene ostacolato attraverso una sistematica criminalizzazione, come emerge chiaramente anche dalla strategia di Minniti nella trattativa per la firma del Codice di Condotta”.

21 marzo: Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie

Circa un milione di persone in oltre 4000 luoghi in tutta Italia, tra cui parrocchie, associazioni, scuole, università, carceri, uffici pubblici, stazioni ferroviarie, si sono fermate ieri per la 23ma Giornata della Memoria e dell'Impegno nel ricordo delle vittime innocenti delle mafie.

Foggia, piazza principale della manifestazione, ha visto la partecipazione di oltre 40 mila persone che hanno sfilato sin dalle prime ore del mattino sotto la pioggia.
Qui oggi piove ma è comunque la primavera: ci sono migliaia e migliaia di giovani, adulti e associazioni che stanno camminando insieme – sono le prime parole di Luigi Ciotti mentre sfila per le strade di Foggia.  – Il cambiamento ha bisogno di tutti. Lo chiediamo alla politica, alle istituzioni, ma dobbiamo chiederlo anche a noi stessi come cittadini. Oggi non è solo un evento, è un momento di riflessione, di incontro, è una memoria viva, fatta di impegno e di responsabilità. Il problema non sono le mafie ma siamo noi. Dobbiamo reagire, bisogna aver coraggio, il coraggio delle denunce. Non bisogna lasciare soli i familiari delle vittime ma non lasciare soli neanche chi denuncia. Ci vuole continuità, ci vuole speranza. E ci vuole collaborazione con le istituzioni".

mercoledì 21 marzo 2018

I predatori della Franciacorta perduta

Altro cemento in Franciacorta: allarme di Legambiente
Parzanini: avanza il consumo di suolo, enti locali troppo tiepidi nell’applicare la nuova normativa. Chiesta una moratoria sugli interventi più impattanti, come l’impianto per trattamento scorie alla Bonfadina di Cazzago

«Il piano territoriale regionale d’area della Franciacorta dice chiaramente che in questo territorio non deve arrivare altro cemento. Perché il suo futuro passa dal vino e dal turismo. Ma Comuni e Provincia stanno facendo un gran poco per concretizzare queste coordinate». Silvio Parzanini, presidente del circolo Legambiente Franciacorta, traccia il quadro della situazione che - a suo dire - è piuttosto grigia.

Punta il dito contro il nuovo impianto di recupero scorie che dovrebbe sorgere tra Cazzago San Martino e Rovato. Sui 20mila metri quadri di nuove aree artigianali programmate in uno dei paesi simbolo delle bollicine, Monticelli Brusati. Ma anche sulla nuova lingua d’asfalto che il Comune di Adro vuole realizzare in sfregio alla tenuta Bellavista, o sulla rotatoria vicino al laghetto glaciale del Sala. … Parzanini mette sul banco degli imputati «d’inerzia» anche la Provincia: «non ha ancora fatto nulla per armonizzare i contenuti dei singoli piani di governo del territorio e del suo piano territoriale di coordinamento provinciale (Ptcp) al nuovo piano regionale d’area, la cui efficacia oggi è pari a zero. Ha dato un primo parere positivo sulla nuova area industriale da 45mila metri quadri a Castegnato. E sembra intenzionata a dare l’ok alla nuova area artigianale di Monticelli Brusati». C’è poi, a suo dire, una mancanza di «visione» futura del territorio. Un esempio pregnante è l’immensa area ex Vela a Corte Franca (dove un tempo si producevano laterizi) a due passi dai campi di golf: «si è parlato di un centro congressi di cui il territorio avrebbe bisogno. Ma serve sinergia di intenti, una regia condivisa, che ad oggi non vediamo».

L’urgenza del momento però è evitare la realizzazione l’impianto di trattamento da 180 mila tonnellate di scorie inerti l’anno che Bettoni Spa vuole spostare da Castegnato alla cava Bonfadina: «sarà fonte di polvere e rumore e darà un’immagine poco consona al Franciacorta. Senza dimenticare il rischio che in futuro possano arrivare altri codici di rifiuti». Eppoi le tante villette e capannoncini. Il problema sono le «more» previste dalla legge regionale 31 del 2014, che ha sì imposto lo stop al consumo di suolo agricolo, ma non cancellando i diritti edificatori acquisiti in passato dai privati. Legambiente, che ha appoggiato il Comune di Brescia nella sua battaglia per tagliare il cemento programmato, chiede un supplemento d’impegno ai comuni franciacortini. Che prendano ad esempio la battaglia di palazzo Loggia.

Due iniziative nel fine settimana presso il Circolo Lavoratori di Iseo



martedì 6 marzo 2018

LOTTO marzo!

Come l'anno scorso, più dell'anno scorso...
la marea femminista invaderà le strade d'Italia e del mondo!
Non restare a casa... Partecipa!!!

Ore 9.00 Corteo studentesco, Piazza Garibaldi.
Ore 17.00 Letture per bambine e bambini contro gli stereotipi, Piazza Loggia.
Ore 18.00 Corteo Non una di meno! #WETOOGETHER


Capovolgiamo la narrazione mediatica sulla sicurezza.
Siamo noi a decidere quali sono gli spazi per noi sicuri e le zone più o meno confortevoli. Siamo noi a decidere sui nostri corpi e non accettiamo "consigli" e colpevolizzazioni.

Invece di dettare regole alle donne per non essere stuprate, insegnate agli uomini a non stuprare!

La violenza sulle donne la fanno gli uomini.
Non ha confini né passaporto né classe.

Anche l'8 marzo, le donne scendono in strada per continuare a ribadire che le strade sicure le fanno le donne che le attraversano, con la solidarietà, il guardarsi a vicenda, l’autodeterminazione e l’autodifesa!

La violenza maschile sulle donne è stata, negli ultimi anni, anche oggetto di campagne mediatiche razziste in cui i corpi delle donne sono stati usati per giustificare politiche contro le persone migranti, le deportazioni e la costruzione di nuovi lager al di qua e al di là del mediterraneo.

L'8 marzo scendiamo in strada anche per rendere concreto il Piano femminista contro la violenza elaborato in un anno di incontri e confronti.
Il Piano è il frutto della scrittura collettiva di migliaia di donne e soggettività alleate, che ha preso le mosse dalla condivisione di vissuti, esperienze, saperi e pratiche di resistenza individuali e collettive alle molteplici forme della violenza maschile sulle donne, della violenza di genere, della violenza dei generi e dei ruoli sociali imposti che colpiscono ognun@ di noi.
Dal #metoo al #wetoogether. Dal dirsi "è successo anche a me", io ti credo. Al dirsi "è successo anche a noi e noi insieme (possiamo uscire dalla violenza)". Noi ti crediamo, e crediamo di poter cambiare questo mondo, insieme!
Noi, donne, femministe, transfemministe e queer, soggettività LGBT*QIA+ e soggettività alleate, insieme, in oltre 50 paesi nel mondo... SCIOPERIAMO!
Per superare la violenza strutturale della società che ci penalizza, vogliamo strumenti e misure in grado di garantire l’autodeterminazione e l’autonomia delle donne, antidoti alla violenza data da dipendenza economica, sfruttamento e precarietà!

Vogliamo salario minimo europeo e reddito di base incondizionato e universale come strumenti di liberazione dalla violenza, dalle molestie e dalla precarietà!

Riaffermiamo l’importanza di costruire reti solidali e di mutuo soccorso contro l’individualismo e la solitudine!

Nel dare nuovi significati alla pratica dello sciopero, oltre a quello sindacale, rilanciamo lo sciopero internazionale femminista come sciopero dei e dai generi e dal lavoro produttivo e riproduttivo!

#8marzo2018 #sciopero #nonunadimeno #brescia #2018M #wetoogether

Restiamo umani contro la folle disumanità


Secondo le notizie fornite dagli inquirenti, quello di Idy Diene, venditore ambulante, 54 anni, non sarebbe un omicidio a sfondo razziale e l’autore di questo gesto scellerato, Roberto Pirrone, non è direttamente collegabile agli ambienti dell’estrema destra o del neofascismo, come invece fu per Casseri.

Eppure c’è qualcosa di ancora più perverso in quanto accaduto. Perché quello che ha fatto Pirrone è un segno dei nostri tempi assurdi: assurdo il fatto che un pensionato decida di farla finita perché strozzato dai debiti, ancora più assurdo il fatto che Pirrone sia uscito di casa e, per finire in galera a vita, abbia deciso di uccidere, di “usare” un’altra persona, guarda caso un immigrato solitario, l’emblema di un umano che vale meno degli altri umani. Quello che ha fatto Pirrone è il frutto di un disorientamento che affligge oggi più che mai le classi popolari, sempre più povere nonostante si viva nel paese con la ricchezza privata più grande d’Europa, strozzate da una diseguaglianza mostruosa che però, guarda caso, non è stata affatto tematizzata durante questa campagna elettorale.

Sì perché se la pensione non ti basta per campare non sei un oppresso, ma uno sfigato, è colpa tua, oppure è colpa di chi sta peggio di te, ossia di chi viene da fuori, dello straniero che sta invadendo la nostra terra, falsamente rappresentata come un luogo afflitto da scarsità di risorse. Ecco il cortocircuito, e come sempre qualcuno ha unito i fili: non solo la destra, non solo Lega di Salvini, che entra anche a Firenze con 11,6% dei voti, ma anche le altre due “destre”, quella del M5s e quella del Pd, che hanno scientemente deciso di puntare la loro campagna elettorale sull’odio per racimolare qualche consenso in più.

Bisogna allora comprendere la rabbia della comunità senegalese. L’omicidio è avvenuto prima delle 12:00, sarebbe bastata un po’ di umanità da parte di Nardella, e invece nulla, dovranno passare altre cinque ore e mezza prima che una delegazione fosse ricevuta, a Palazzo Vecchio, da dove il sindaco non si è smosso. Un lassismo che ha fatto infuriare chi si aspettava comprensione, e che ha visto esplodere la tensione accumulata tutto il giorno per questa morte assurda, la terza ormai: a farne le spese due fioriere, qualche scooter gettato di lato e le transenne dei cantieri della tramvia. Poca roba, ma abbastanza da far infuriare Nardella che su fb attacca “i violenti” e parla di devastazione. Come durante la mattinata, nessun tentativo di comprensione, solo l’ennesima riprova della pochezza morale e politica del sindaco di Firenze e di questo Pd.

In questo clima di odio è urgente ricostruire legami di solidarietà, indicare i veri responsabili dell’impoverimento progressivo della popolazione, far sentire la nostra vicinanza ad una comunità colpita ancora una volta, in maniera assurda, a colpi di pistola.

L'area Expo di Milano continua fonte di speculazioni

Milano, gli studenti della Statale contro Expo: "Si spendono soldi in cemento, non in didattica"

La Statale dice sì al trasloco in area Expo. Con 25 favorevoli 7 contrari e zero astenuti il Senato Accademico della Statale ha votato ufficialmente per il trasferimento dei dipartimenti scientifici: una presa di posizione ufficiale dell'ateneo arrivata in una giornata lunga e complicata che ha visto momenti di tensione fuori dall'Università Statale dove un gruppo di studenti, insieme ai collettivi e ai manifestanti del quartiere Città Studi, si è riunito in presidio in occasione del voto del Senato accademico.
Lo scontro tra manifestanti e polizia si è verificato quando gli studenti hanno cercato di raggiungere la sede della votazione, che era stata cambiata all'ultimo minuto: dalla Statale agli spazi in via Sant'Antonio. Quando gli universitari hanno cercato di raggiungere il nuovo indirizzo sono stati bloccati dalla polizia in tenuta antisommossa. A quel punto sono volati spintoni e manganellate.
I manifestanti, circa un centinaio, hanno iniziato a gridare a mani alzate "corteo, corteo", poi hanno sfilato, scortati da un cordone di poliziotti e carabinieri, per via Larga. Da lì hanno cercato di entrare dall'ingresso secondario negli spazi di via Sant'Antonio, dove c'è stato un nuovo scontro con le forze dell'ordine.
Ma gli studenti della Statale non ci stanno e chiedono di potenziare la sede dove tuttora insiste l'Università invece di spendere tanti soldi per un così imponente trasferimento. "Abbiamo espresso il nostro dissenso in tutti i modi ma non siamo stati ascoltati. Questi soldi verranno spesi in cemento e non in didattica o in servizi, che è quello di cui realmente abbiamo bisogno. Per questo ci siamo mobilitati e per tutta risposta abbiamo ricevuto le cariche delle forze dell'ordine."

Del Mediterraneo abbiamo fatto una tomba per migliaia di disperati

Ancora naufragi, 21 dispersi davanti alla Libia
Soccorsi 72 naufraghi in arrivo a Pozzallo: "Tanti morti, donne e bambini". La telefonata drammatica del bimbo: "Ti prego zio, non mi lasciare solo"
  
Ancora partenze e tragedie. Nello scorso fine settimana almeno 21 migranti avrebbero perso la vita in mare, secondo i racconti raccolti a bordo della nave “Aquarius” delle Ong “Sos Mediterranee” e “Mediici senza frontiere”, ora in rada in attesa di approdare nel porto di Pozzallo. A bordo ci sono 72 superstiti, tra cui 14 minori non accompagnati, soccorsi da un mercantile, al largo delle coste libiche, mentre erano in navigazione su due distinte imbarcazioni verso l'Europa.
Poche ore prima del salvataggio la “Aquarius” era stata testimone diretta dell'intercettazione di un'imbarcazione in difficoltà in acque internazionali da parte della Guardia Costiera libica. Stando a quanto riferisce l'equipaggio, "tra i 72 naufraghi trasferiti a bordo della Aquarius nella serata di sabato, 30 erano stati tratti in salvo la notte precedente da un'imbarcazione in legno che stava per affondare.
Gli altri 42 sono saltati in acqua da un gommone che in seguito è stato intercettato dalla Guardia Costiera libica in acque internazionali a 53 miglia nautiche dalle coste libiche. Tutti sono stati soccorsi dalla nave mercantile cipriota MV Everest".
Almeno 21 persone, tra cui una donna in gravidanza, sarebbero annegate nel naufragio dell'imbarcazione in legno e circa 90 sono state riportate in Libia dalla Guardia costiera libica.
"Eravamo 51 sulla barca di legno. Ma quando nella notte - ha raccontato ai volontari un giovane sopravvissuto del Gambia - le persone sono andate in panico la barca si è quasi capovolta e alcuni sono caduti in acqua. C'erano cinque donne a bordo, quattro sono affogate, tra cui una incinta. Ho perso mio fratello. È morto"
Fra le 90 persone riportate in Libia dalla Guardia costiera c'è anche un bimbo. "Zio, non mi lasciare". Sono le sue ultime parole, drammatiche, piangendo al telefono con lo zio. Erano tutti e due a bordo di un gommone in navigazione verso l’Europa. Si sono separati quando i migranti, un centinaio circa, sono stati intercettati da una barca della Guardia costiera libica a 35 miglia dalle coste, in acque internazionali. Molti uomini, per sfuggire, si sono gettati in acqua prima di essere avvicinati dai militari. Alcuni sono riusciti a rimanere a galla. Altri non ce l’hanno fatta e risultano dispersi. Sarebbero più o meno venti, secondo i racconti dei superstiti. Altri trenta sono stati successivamente soccorsi da una nave mercantile. Fra loro c’è anche lo zio del bambino, che ora non si dà pace. Lui è salvo, lontano dall’inferno libico (ne porta ancora i segni sulla pelle), fra i 72 migranti soccorsi a bordo della nave “Aquarius”. Fra poche ore sbarcherà a Pozzallo

giovedì 1 marzo 2018

Propaganda elettorale a spese dei cittadini lombardi

Roma, 28 febbraio 2018 - ... Nella sala Verde di palazzo Chigi il governo rappresentato dal sottosegretario Gianclaudio Bressa e i governatori di tre regioni, Lombardia, Emilia Romagna e Veneto, hanno siglato la pre-intesa che mette le basi per una reale cessione di sovranità da parte dello stato centrale. L’accordo ha durata di dieci anni e potrà essere rinnovato, dovrà adesso essere ratificato dal nuovo parlamento nazionale con una maggioranza qualificata e poi "riempito" di contenuti da successive trattative tra lo stato e le regioni interessate.

Al di là delle opinioni da ciascuno nutrite in merito all'(in)utilità ed alla reale portata degli obiettivi perseguiti dal Pirellone nella ricerca di una maggiore autonomia per la Regione Lombardia, non è possibile esimersi dal notare come alla firma di questa pre-intesa l'ormai quasi ex presidente Maroni sia giunto dopo aver speso circa 50 milioni di euro prelevati direttamente dalle tasche degli abitanti lombardi.
Il medesimo risultato è stato ottenuto invece a costo zero dai nostri vicini emiliano-romagnoli.
Eh, vabbè - dirà qualcuno con malanimo ed in malafede - al di qua del Po c'era pur sempre da preparare il terreno alla campagna elettorale per il rinnovo degli organi regionali!

p.s.: tra l'altro, pare che alle scuole di Gussago non sia ancora stato restituito neppure uno dei famosi, costosissimi tablets acquistati dalla Regione Lombardia per far provare l'ebbrezza del voto elettronico a quanti hanno partecipato al farsesco referendum sull'autonomia.

La schizofrenia delle politiche per il trasporto pubblico locale


La Regione taglia il 5% dei bus: alla Provincia mancheranno sette milioni
Secondo i nuovi costi standard al 2025 la provincia avrà 7 milioni in meno del necessario. Appello dell’assessore Manzoni ai consiglieri: «Lobby sui trasporti»
(Corriere della Sera, ed. di Brescia - 1 marzo 2018) 

Se Brescia punta ad essere un modello europeo ecosostenibile in fatto di energie rinnovabili in futuro dovrà però fare i conti con le inadeguate risorse regionali a sostegno del trasporto pubblico, snodo fondamentale per ridurre l’inquinamento atmosferico.
Se dal 2020 verrà applicata la delibera sui costi standard decisa dalla giunta Maroni a dicembre, città e provincia, al 2025, prenderanno solo 3,6 milioni di euro per mantenere in vita i loro bus di linea. mentre avrebbe bisogno di 7 milioni in più oltre a quelli previsti. Invece, così vuole la Regione, si vedrà costretta a tagliare 1,7 milioni di chilometri di corse dei bus (da 33,7 a 32 milioni di km l’anno). Le cifre dettagliate le ha calcolate l’assessore comunale ai Trasporti Federico Manzoni. Che spera in una trattativa politica con il nuovo esecutivo regionale: «Se così non sarà ci vedremo costretti ad un uovo ricorso». Oggi Brescia e provincia coprono il 10,96% del servizio trasportistico regionale (bus e metrò, treni esclusi) «ma riceviamo dalla Regione l’ 8,66% delle risorse. Il 2,3% mancante è garantito dalle risorse da Comune e Provincia, cosa che in altri luoghi non si è fa: Milano, Monza-Brianza, Lodi e Pavia ricevono il 2% rispetto al servizio offerto». Secondo la Regione «dovremmo quindi tagliare il 3% dei bus in città e il 7% in provincia — aggiunge Manzoni —. Non si tiene per nulla conto che la popolazione negli ultimi vent’anni è cresciuta del 50%. Anche con i tagli previsti alle corse mancherebbero comunque 7 milioni di euro l’anno». Da qui appello ai futuri consiglieri regionali bresciani: «che facciano lobby anche sui trasporti non solo sulla caccia». Manzoni previene eventuali rimpalli di responsabilità con lo Stato: «Roma dà alla Lombardia 850 milioni l’anno per i trasporti, il 17,3% del fondo nazionale, che recentemente è stato aumentato e che aumenterà anche in futuro». Il problema è un altro: per i suoi bus e metrò la Regione destina oggi 624 milioni l’anno. E prevede di versare la stessa cifra anche nel 2025. Non un euro in più. Strana strategia di combattere il traffico privato. E quindi lo smog.


(autobusweb.it - 27 febb. 2018)
La Regione Lombardia concede un aiuto straordinario da 2,3 milioni di euro alla provincia di Brescia per consentire a quest’ultima di approvare il bilancio, evitando forme di dissesto finanziario che si ripercuoterebbero sul territorio e sui cittadini e assicura nuove risorse a disposizione per il trasporto pubblico locale, al centro nelle scorse settimane di diffusi allarmi a causa della scarsità di risorse a disposizione. Quello messo in campo dalla Regione è una forma di aiuto straordinario. Una nota pubblicata il 26 febbraio sul sito istituzionale recita così: «È di 2.352.120 euro l’aiuto straordinario concesso dalla giunta regionale della Lombardia alla Provincia di Brescia per il Trasporto pubblico locale. Lo ha stanziato l’esecutivo lombardo che ha approvato la delibera su proposta dell’assessore regionale all’Economia, Crescita e Semplificazione. La misura è attuata ai sensi della Legge regionale 42/2017 che autorizza lo svincolo a fronte dell’impegno delle province a stanziare le risorse per il Tpl». Lo svincolo di fondi a favore della Provincia di Brescia – chiude il comunicato –  è subordinato alla comunicazione di un suo formale impegno a stanziare il medesimo importo per i servizi di Trasporto pubblico locale resi dal 2018.

Ora che abbiamo scoperto che la TAV non serve a una mazza, abituiamoci a chiamarla Val di S-C-usa


Che avessimo ragione, lo sappiamo da sempre, probabilmente dall’inizio della nostra opposizione, quando ci consideravamo indiani, negli anni 90.
Questo non per arroganza o supponenza, ma perché ogni volta che abbiamo detto NO, lo abbiamo fatto sempre con il cuore, di una comunità che si difende, e con la testa, studiando e motivando ogni step di questo assurdo progetto.

Di recente il governo in via ufficiale ha detto (a modo proprio con una supercazzola), in un documento ufficiale che le previsioni sulle quali si è basato tutto il progetto erano sbagliate, troppo ottimiste e che non hanno tenuto conto del contesto storico (cioè almeno 20 anni di storia moderna).

Non c’è dubbio, infatti, che molte previsioni fatte quasi 10 anni fa, in assoluta buona fede, anche appoggiandosi a previsioni ufficiali dell’Unione Europea, siano state smentite dai fatti, soprattutto per effetto della grave crisi economica di questi anni, che ha portato anche a nuovi obiettivi per la società, nei trasporti declinabili nel perseguimento di sicurezza, qualità, efficienza. Lo scenario attuale è, quindi, molto diverso da quello in cui sono state prese a suo tempo le decisioni e nessuna persona di buon senso ed in buona fede può stupirsi di ciò. Occorre quindi lasciare agli studiosi di storia economica la valutazione se le decisioni a suo tempo assunte potevano essere diverse.” (v. http://www.presidioeuropa.net/blog/verifica-modello-di-esercizio-tratta-nazionale-25-settembre-2017/)

Ci da ragione, ed è la seconda volta che avviene. La prima fu nel 2006, dopo che liberammo Venaus, e vista la nostra forza accumulata cercò un progetto in parte alternativo, spostando la tratta da una parte della Valle e rimodellando l’idea dei costi, arrivando a parlare di “tav low cost” (altra supercazzola).

Come in quel caso, così come ora, il partito unico del tav (si proprio così perché in oltre vent’anni di storia lo abbiamo visto formarsi, costituirsi e nutrirsi di fondi pubblici) si difende mischiando un po’ le carte, per tentare di essere ri-presentabile all’opinione pubblica e sottrarre consenso al movimento notav.

Ma sia chiaro: si difende attaccando. Per questo non cantiamo vittoria, ma prendiamo atto dell’ennesima strategia messa in atto da chi ha poco da proporre.

Non c’è una motivazione, di quelle usate in tutti questi anni da politici, tecnici o commissari di governo per portare avanti la Torino Lione. La tratta europea, l’idea iniziale, il progetto rivisto più volte è morto e sepolto sotto i colpi della crisi mondiale e dell’evoluzione (o involuzione) dei commerci e dei trasporti. Non serve molto per capirlo.

Allora cosa serve fare per tornare presentabili? Ri-presentarsi al mondo come esperti e visionari, arrivando a sostenere che la linea Torino-Lione non ha senso oggi, ma in futuro ce lo avrà perché svilupperà nuovi traffici di merci, nuovi assi ferroviarie, nuove economie.

Balle, su balle! Ogni previsione è stata smentita e geni non ne abbiamo mai visti dalla parte dei tifosi del Tav. Al massimo azzeccagarbugli di bassa lega e venditori di fumo con stipendi garantiti, che l’unica capacità che hanno avuto è sempre stata quella di garantire flussi di denaro (e potere) verso i soliti amici, partiti, aziende o corporazioni che fossero.

Quindi no grazie! Delle vostre previsioni questo Paese fa molto volentieri a meno perché vediamo già i danni (e i morti) delle politiche sul trasporto in Italia, dove l’alta velocità passa davanti a tutto il sistema ferroviario generale, a discapito della maggioranza del Paese che usa il treno per muoversi tutti i giorni in condizioni di pericolo e degrado.

Quello che ci fa ancora più specie è l’arroganza con la quale questi signori candidamente sostengono: “è vero è tutto fondato su studi errati, su previsioni sbagliate, ma lo facciamo lo stesso perché serve, e se ora non serve tanto, domani servirà”.

Ci sarebbe da vergognarsi, invece i vari commissari di governo e politici al seguito proseguono come se nulla fosse, perché alla fine dei conti non pagheranno mai per le responsabilità che hanno avuto in questa vicenda. A differenza nostra chiaramente, che veniamo condannati un giorno si e uno no, e siamo sempre dalla parte della ragione.

La Torino Lione, e molte altre tratte in qualche modo legate, come il Terzo Valico o la Brescia-Verona, sono progetti sovrastimati e palesemente “dopati” da ragioni politiche ed interessi particolari, vanno abbandonati e a buona parte dei sostenitori va chiesto il conto, in termini economici e sociali.

Da parte nostra, sappiamo di aver sempre avuto ragione, sia tecnicamente che politicamente, e sappiamo bene che l’unico argine alla devastazione ambientale ed economica, è rappresentato dalla lotta, la nostra, popolare e dal basso, e possiamo dirlo senza timori: alla fine vinceremo noi!

Relazioni industriali "a perdere"


Un accordo quadro ‘a trazione metalmeccanica’ per tutta l’industria.
Gli altri padroni ottengono quello che Federmeccanica ha già conquistato.

Questa notte Cgil Cisl Uil e Confindustria hanno raggiunto un’ipotesi di accordo sugli indirizzi nella contrattazione dei settori industriali. Era da tempo che sindacati e padroni discutevano di questo. Nel 2014 Cgil Cisl Uil presentarono una loro piattaforma. Non ci fu nessun riscontro da parte di Confindustria fino a tutto il 2016. Tempo che Federmeccanica portasse a casa il peggior contratto nazionale dei metalmeccanici di sempre (il migliore, dal loro punto di vista) e la trattativa è stata ripresa, con l’obiettivo esplicito dei padroni di ottenere quello che Federmeccanica aveva già portato a casa. Così è partita la trattativa, su un testo vergognoso, presentato dai padroni. Un testo che fin dall’inizio è stato chiaro che rappresentasse in pieno i loro interessi. Un testo considerato inaccettabile e irricevibile, non solo da noi ma anche dai segretari delle principali categorie dell’industria. Persino la Fiom non era d’accordo che diventasse regola per tutti quell’impianto di regolazione salariale e di welfare che aveva firmato poco più di un anno fa, vendendolo ai lavoratori come un Ccnl ‘sperimentale’ (ed un contratto unitario riconquistato dopo tanto penare). Un testo su cui via via si è continuato a contrattare nonostante tutti in Cgil sapessero a cosa avrebbe portato. Nel tempo si è sistemato qualche passaggio, certo, e altri sono più o meno stati mascherati con qualche termine meno indigesto. La struttura però è rimasta quella presentata dai padroni sin dall’inizio, in particolare sui punti cruciali del salario, welfare e benefits, sul rapporto tra i livelli della contrattazione e sull’applicazione del Testo Unico sulla rappresentanza del 10 gennaio. Un errore clamoroso quello di trattare sul testo di Confindustria. Non abbiamo mai pensato che la piattaforma di Cgil Cisl Uil fosse positiva. Anzi. In ogni modo quella piattaforma è sparita e si è trattato solo sulle richieste di Confindustria, inseguendo ostinatamente un’unità sindacale deleteria (Cisl e Uil erano più o meno d’accordo sul testo da mesi).

C’era davvero bisogno di firmare ora un testo sulle regole contrattuali dell’industria? C’era bisogno di concordare un sistema salariale che lega ogni aumento dei salari nazionali all’IPCA, azzerando di fatto ogni ulteriore ruolo di regolazione salariale del Ccnl e condannando quindi il salario nazionale a perdere persino sull’inflazione complessiva (l’IPCA infatti è l’inflazione depurata dai costi energetici, quindi sempre e comunque inferiore a quella reale)? C’era bisogno quindi di tagliare le gambe in partenza ad ogni possibile battaglia di aumento generalizzato dei salari, che viene indicata spesso come necessità imprescindibile nei documenti programmatici e nei discorsi nei Direttivi nazionali? C’era bisogno di imbrigliare la contrattazione di secondo livello alla produttività (leggi aumento dei ritmi e dei carichi e peggioramento delle condizioni di lavoro e di sicurezza, nelle poche aziende in cui comunque si contratta a livello aziendale)? C’era bisogno di un accordo che integrasse il welfare aziendale dei metalmeccanici nella contrattazione del salario di tutt*, anche di quelle categorie che fino a oggi lo hanno respinto? C’era bisogno di un accordo che riproponesse le parti peggiori del Testo Unico sulla rappresentanza, chiedendone la piena applicazione dell’intero testo, compreso quindi quella sulla esigibilità dei Ccnl che pure fino a ora le categorie della Cgil hanno più o meno evitato negli accordi nazionali (leggi clausole di raffreddamento e sanzioni)? C’era bisogno di un accordo che indirizzasse ancora di più su sanità e previdenza integrativa, persino ipotizzando una futura defiscalizzazione di questi strumenti? Ce ne era bisogno?

No, affatto! A meno che non si volesse, a pochi giorni dalle elezioni, fare un regalo ai padroni e ribadire l’egemonia della loro idea di regolazione del salario, nel mezzo di una campagna elettorale in cui si sprecano le promesse su salario minimo e dintorni. A meno che non si volesse dimostrare ad ogni costo al nuovo Parlamento ed al nuovo incipiente governo (qualunque esso sia) che una co-gestione della crisi tra capitale e lavoro è possibile, anche contro i fatti e l’evidenza, e soprattutto contro gli interessi generali del lavoro.

Il Direttivo nazionale CGIL del 9 marzo verrà chiamato a dare il mandato alla segreteria per firmare l’accordo. Abbiamo continuamente chiesto in questi mesi nelle sedi opportune di convocare il Direttivo prima che la discussione precipitasse sulla firma, anche vista l’importanza per tutti (non solo per le categorie dell’industria) di un accordo di questo tipo. Ecco fatto. Il Direttivo deciderà su un accordo ormai bell’e fatto, pubblico e pubblicamente discusso. Un accordo che ovviamente, come il Testo Unico del 10 gennaio, peserà significativamente anche sul prossimo congresso CGIL, sulla sua discussione e forse sul suo esito.

Noi ovviamente voteremo contro. E faremo appello a tutte le compagne e i compagni, segretari di categoria e non, che in queste settimane si erano dichiarati contrari, ad essere coerenti con quelle dichiarazioni e fare altrettanto per scongiurare un’ulteriore capitolazione della Cgil. Perché questo accordo non è che il Ccnl dei metalmeccanici applicato a tutt*. Un vero regalo per i padroni dell’industria italiana.

Sindacatoaltracosa-OpposizioneCgil

per scaricare il testo dell’accordo in .pdf clicca su

Le iniziative del Circolo dei Lavoratori di Iseo




venerdì 23 febbraio 2018

Dovunque si bruciano i libri, si finisce per bruciare anche gli uomini (Heinrich Heine)


Gravissimo attentato incendiario fascista al Centro sociale autogestito "Magazzino 47"

A Brescia nella notte di venerdì 23 febbraio mani fasciste hanno appiccato il fuoco all’enoteca-libreria del centro sociale "Magazzino 47" di via Industriale, 10 a Brescia. Verso le tre di notte i fascisti si sono introdotti nel centro sociale e, dopo aver forzato una finestra, hanno appiccato un incendio all’interno del locale che ospita la libreria e l’enoteca, ammucchiando libri al centro del locale e dando fuoco al tutto. La finestra forzata, gli evidenti segni di effrazione e un intenso odore di benzina non lasciano dubbi sulla natura dolosa, come immediatamente notato dagli stessi Vigili del fuoco. Centinaia i libri bruciati.


La pronta reazione di un compagno che si trovava all’interno dello spazio sociale ha fatto sì che i Vigili del fuoco siano potuti intervenire tempestivamente estinguendo le fiamme prima che queste potessero provocare danni ben peggiori. Diversi mobili e una grande quantità di libri sono comunque andati distrutti, oltre al ritratto realizzato da Zerocalcare per ricordare Giulia, compagna del Magazzino scomparsa nel 2012.

Non è la prima volta che i fascisti danno fuoco al Magazzino 47. Era già accaduto nel 2006, con tre molotov. Per quell’attentato, nel 2011, furono condannati tre neofascisti, all’epoca di Forza Nuova: Matteo Pasotti a 2 anni e 8 mesi, Giorgio Andreassi e Alessandro Foglia a 4 anni, in quanto lanciatori materiali delle molotov. Pene poi leggermente ridotte in appello, nel 2013. E proprio questa notte, sopra la galleria Tito Speri, in città, è comparso uno striscione fascista firmato Brescia Identitaria.

Dopo le fiamme di stanotte, il Magazzino 47 ha diffuso già all’alba una nota: “Dichiariamo già da ora uno stato di mobilitazione permanente antifascista in città”.

Domani, sabato 24 febbraio, sono due gli appuntamenti antifascisti in città: una chiamata larga e popolare a cui stanno rispondendo tante realtà cittadine e della provincia. Si inizia alle ore 8 la mobilitazione davanti alla chiesa di via San Faustino contro l’annunciato banchetto di forza nuova alle porte settentrionali del quartiere popolare, proletario e meticcio del Carmine. Sabato pomeriggio, dalle ore 14.30, corteo da piazza Rovetta contro l’ondata di violenza incendiaria fascista e razzista che colpisce, nel sostanziale disinteresse di istituzioni e cosiddette forze dell’ordine, Brescia, dalle Casette Occupate colpite da due bombe carta all’incendio nel campo Sinti di via Orzinuovi fino, stanotte, alle fiamme nella libreria del Magazzino 47.

Sabato 24 febbraio mobilitazione antifascista:

ore 8.00 in via San Faustino, davanti alla chiesa dei SS. Faustino e Giovita, contro il banchetto annunciato da forza nuova
ore 14.30 corteo da piazza Rovetta “Dosta! Doval razzismo!” contro i recenti attacchi incendiari al campo sinti di via Orzinuovi, le casette occupate di via Gatti e il csa Magazzino 47